TunisiÈ stato il primo politico della nuova era ad annunciare la sua candidatura alle presidenziali che si terranno fra sei mesi in Tunisia. Moncef Marzouki è tornato pochi giorni fa in patria, dopo nove anni d'esilio. Medico e dissidente, condannato dal regime a un anno di galera nel 2000 per le sue battaglie a favore dei diritti umani, è il fondatore del Congresso per la Repubblica, partito fuori legge sotto Ben Ali. Oggi, dalla sua casa nei sobborghi di Tunisi parla della difficile transizione politica e chiede che i volti dell'ancien régime lascino al più presto il nuovo governo.
Si aspettava una rivoluzione in Tunisia?
«No, pensavo che la dittatura fosse troppo forte. Ora so che i nostri sforzi sono serviti. Ho sempre sostenuto che non esiste un'opposizione sotto una dittatura, ma soltanto una resistenza militare o civile. Ho spinto per quella civile. Per vent'anni siamo stati una minoranza. Abbiamo combattuto la dittatura, siamo finiti in prigione. Ero come una persona che semina nel deserto: se piove, i semi germogliano. Quest'anno ha piovuto, grazie alla collera della popolazione».
Per quanto tempo è stato in esilio?
«Sono stato nove anni a Parigi. Sono tornato martedì e mi sento per la prima volta come un uomo libero in un Paese libero. Ho visto una popolazione nuova».
Ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali. Cosa vuole per la
Tunisia?
«Le proteste continuano nel Paese, il processo va avanti. Per fermarlo occorre cambiare governo. Il partito comunista non avrebbe mai potuto guidare la Russia dopo il 1989. Così, in Tunisia, il premier deve nominare un nuovo esecutivo».
I partiti all'opposizione sono abbastanza forti per governare?
«L'idea che in Tunisia non ci fosse opposizione è falsa. Ci sono tante persone oggi pronte a guidare i partiti. La ripresa politica sarà molto più semplice di quanto si crede».
Esiste il rischio d'integralismo islamico in Tunisia?
«No, per niente. La rivoluzione è stata libera e democratica. Quella del rischio integralista è un'altra bugia. Perché non dovremmo avere un partito islamico democratico? Certamente, se si trattasse di terroristi non li vorremmo».
Lei, come altri politici, arriva in Tunisia dopo anni d'esilio. La popolazione la conosce?
«Sì, c'erano moltissime persone ad accogliermi nei luoghi che ho visitato in queste ore. Non potevo restare in Tunisia perché non avevo accesso al telefono e a internet. E abbiamo vinto in gran parte grazie a internet».
In Italia e in Europa molti stanno guardando a quello che accade in Tunisia.
«Ringrazio da parte dei tunisini tutti quelli che ci hanno sostenuto, ma per quanto riguarda i governi di Italia e Francia, qualcuno deve chiedersi come fosse possibile che facessero affari con un dittatore».
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