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Alternative al gas russo? Ecco cosa rivela la "caccia"

L'Europa cerca di diminuire la dipendenza dal gas russo. Ma la diversficazione delle fonti non è affatto semplice. E il Mediterraneo è una scacchiera complicata

Alternative alla Russia? Ora scatta la sfida sul gas

La ricerca del gas è il tema centrale delle strategie italiane ed europee di questi giorni. La guerra in Ucraina ha avuto tra i primi effetti quello della caccia a fonti alternative rispetto alla Russia, che dopo avere avviato le operazioni militari contro Kiev, subisce l'isolamento da parte dei Paesi del blocco occidentale.

Spezzare la dipendenza dalla Russia

La scelta europea non è per delle più semplici. Stati Uniti e Regno Unito hanno puntato a un embargo nei confronti degli idrocarburi russi che ha un impatto nettamente inferiore rispetto a quello che potrebbe avere per i Paesi dell'Unione europea. L'Europa è fortemente dipendente dall'oro blu di Mosca. E trovare alternative al rifornimento energetico dai giacimenti russi significa soprattutto dover fare i conti con un problema economico: il gas russo, anche solo per motivi geografici, costa meno e arriva in quantità maggiori rispetto a quello proveniente da altre fonti. Il collegamento terrestre permette il transito del gas attraverso i gasdotti, garantendo quindi flussi continui, in quantità rilevanti e soprattutto con rischi che possono essere calcolati e azzerati anche in termini di sicurezza. Lo conferma un dato del quotidiano americano Washington Post, che ricorda il curioso caso della società ucraina Naftogaz. Il Wp spiega infatti che "anche se la Russia fa piovere missili sull'Ucraina, sta ancora inviando circa il 30 per cento del gas che vende in Europa attraverso il Paese invaso. E sebbene i leader ucraini abbiano chiesto al continente di fermare immediatamente le importazioni di gas russo, non stanno facendo nulla per interferire con il flusso di gas che scorre attraverso i gasdotti a una velocità di 40 miliardi di metri cubi all'anno verso clienti tra cui Germania, Austria, Italia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca".

Intanto però la guerra ha, come detto, scatenato la ricerca di altre fonti e quindi di altre rotte di rifornimento. E il Mediterraneo può diventare uno snodo fondamentale anche alla luce dell'offerta di gas naturale liquefatto da parte dei gradi produttori.

Il nodo del gas liquefatto

Gli Stati Uniti hanno già offerto il loro gas per provare a colmare (molto parzialmente) il vuoto lasciato dall'eventuale stop alle forniture russe. Nella dichiarazione congiunta della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e del presidente Usa, Joe Biden, si legge che Washington si adopererà per "garantire un volume di gas naturale liquefatto (Gnl) per il mercato dell'Ue di almeno 15 miliardi di metri cubi nel 2022". Agli Usa si unisce il Qatar, altra potenza del settore, che sta ricevendo numerose offerte per ricevere il Gnl nei rigassificatori europei: non ultimo dalla Slovenia, che, come riporta Italpress, sta provando a strappare un accordo per l'arrivo dell'oro blu qatariota attraverso i rigassificatori dell'Alto Adriatico.

Dal canto suo - scrive il Sole 24 Ore - l'Italia si muove sul fronte del gas liquefatto come già suggerito dalle parole del presidente del Consiglio, Mario Draghi. Secondo il Sole, Snam "è pronta a organizzare un gasdotto 'virtuale' con un sistema di navi per il trasporto di Lng dalla Spagna al proprio rigassificatore di Panigaglia; dall'altra parte sta lavorando sul mandato ricevuto dal Governo per rafforzare la potenza di fuoco della rigassificazione, con l'obiettivo di mettere a disposizione circa 10 miliardi di metri cubi di gas aggiuntivi nel giro di due anni". Il nodo è cruciale ma la partita è molto più complessa di quello che potrebbe apparire. La rigassificazione, infatti, richiede navi specifiche che sono in numero molto ridotto e molte già prenotate. Inoltre, il prezzo non è certamente paragonabile a quello del gas russo o di quello che arriva attraverso gasdotti fisici. E dal punto di vista burocratico, le cose potrebbero andare per le lunghe in attesa delle autorizzazioni necessarie per le navi e per il trasporto del gas fino alla terraferma.

La partita geopolitica

Oltre al tema delle navi, c'è poi il problema generale dell'approvvigionamento energetico come nodo politico. La volontà di spezzare la dipendenza dal gas russo è infatti al momento un obiettivo che si può sostanziare in una diversificazione complessiva delle fonti, ma sembra impossibile ridurre drasticamente la fornitura da Mosca in breve tempo. Al momento i maggiori rifornimenti di gas dopo la Russia sono Norvegia e Algeria. Un'analisi che fa riferimento al 2019 mostra che il 41% delle importazioni di gas naturale in Ue provenivano dalla Russia, il 16% dalla Norvegia, l'8% dall'Algeria e il 5% dal Qatar.

Per il fronte sud, è fondamentale l'approvvigionamento energetico da Mosca ma anche dai partner nordafricani e mediorientali. Per l'Italia, il discorso vale non solo per l'Algeria, ma anche per la Libia, e si aggiunge il tema delle importazioni del gas dall'Azerbaigian attraverso Tap. Elementi cui si agigungono anche i progetti di gasdotti che spesso hanno condotto e possono condurre a scontri particolarmente profondi che incidono sulla convivenza tra gli Stati.

La partita energetica era fondamentale prima e lo è ancora di più adesso con un intero continente che cerca di emanciparsi da un fornitore storicamente più forte. E questo basta per far capire cosa potrebbe ribollire nel Mediterraneo orientale, dove Israele, Turchia, Egitto e Cipro sono particolarmente interessate a quanto accade sul fronte del gas all'Ue. Lo stesso dicasi per l'Iran, produttore isolato per via delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti.

E sul fronte sempre delle rotte energetiche, non vanno sottovalutati anche i confronti interni al panorama africano, in particolare quelli che coinvolgono Algeria e Marocco, oltre alla ben nota questione della stabilizzazione della Libia.

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