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Assange, la giustizia britannica dice sì all'estradizione. L'ultima parola al ministro dell'Interno

La magistratura britannica ha formalmente autorizzato l'estradizione negli Usa del fondatore di Wikileaks, Julian Assange. Tra le accuse c'è quella di spionaggio e pubblicazione di documenti secretati. L'ultima parola spetta al ministro dell'Interno britannico

Assange, la giustizia britannica dice sì all'estradizione. L'ultima parola al ministro

Giorni contati per Julian Assange. Il fondatore di Wikileaks dovrebbe essere estradato negli Stati Uniti, dove deve essere processato per aver pubblicato alcuni documenti segreti sulle guerre in Iraq e Afghanistan. La Westminster Magistrates Court, a Londra, ha emesso l’ordine di estradizione tramite il giudice Paul Goldspring. La parola ora passa al ministro dell’Interno britannico, Priti Patel: sarà lei a dover approvare o meno l’estradizione chiesta dagli Usa. Per farlo ha due mesi di tempo.

La difesa di Assange ha fatto sapere che presenterà ricorso entro il termine previsto del 18 maggio. A metà marzo il massimo organo giudiziario del Regno Unito, la Corte Suprema, aveva dato il via libera all’estradizione respingendo il ricorso dei legali dell'australiano.

Cinquantuno anni, Assange era balzato alle cronache di tutto il mondo alla fine del novembre 2010, dopo che aveva pubblicato, su internet, una mole impressionante di documenti secretati (251mila), rubati da un ex militare americano, concernenti alcune condotte militari controverse, con gravi accuse di crimini di guerra nei confronti di alcuni soldati Usa. Tra i file diffusi in rete anche le identità di diverse persone sotto copertura in paesi a rischio. Assange ricevette premi e apprezzamenti per la sua "battaglia" in nome della trasparenza e della verità, ma al contempo fu perseguito dalla legge, non solo quella a stelle e strisce.

I primi guai in Svezia, dove nei suoi confronti spiccano un mandato di arresto in contumacia (in seguito recepito dall'Interpol) con l'accusa di stupro e molestie di due donne. Lui si difende asserendo che è tutta una macchinazione per estradarlo negli Usa. Il 7 dicembre 2010 l'australiano si reca negli uffici londinesi di Scotland Yard e viene arrestato. Nove giorni dopo esce su cauzione. L'Alta corte di Londra si pronuncia il 2 novembre e accoglie la richiesta di estradizione presentata dalla Svezia. La battaglia legale, durissima, va avanti. Quando nel giugno 2012 la Corte Suprema britannica rigetta il ricorso contro il via libera all'estradizione, Assange si rifugia nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, dove chiede asilo politico dichiarandosi perseguitato. Vi resta per quasi sette anni.

Assange finisce dietro le sbarre l'11 aprile 2019. Le autorità dell'Ecuador di fatto revocano l'asilo politico e fanno entrare nella propria sede diplomatica gli agenti di Sua Maestà, che portano via Assange pur essendo, questi, in possesso della cittadinanza ecuadoriana (che Quito stranamente considera sospesa). L'attivista australiano viene rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (da alcuni definito la Guantanamo britannica) con l'accusa di aver violato i termini della libertà su cauzione (relative alle accuse, poi archiviate, della giustizia svedese) e per la richiesta di estradizione avanzata dagli Usa per cospirazione e spionaggio. La battaglia legale va avanti e, nel gennaio 2021, la giustizia britannica nega la richiesta di estradizione fatta dagli Usa appellandosi alle fragili condizioni mentali, che non avrebbero retto a un possibile isolamento all'interno di un carcere americano.

Negli Stati Uniti Assange rischia 175 anni di carcere.

Il suo caso viene denunciato da diverse organizzazioni per i diritti umani come un grave attacco alla libertà di stampa.

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