La Catalogna ha due bandiere. La «senyera» - strisce rosse su fondo giallo e una stella, sempre rossa, a sinistra - da ieri illumina la facciata del palazzo della Generalitat di Barcellona, sede del governo autonomo catalano. Con un gioco di luci che durerà fino a giovedì 11, il giorno della Diada , la festa nazionale della regione. Chissà se Pep Guardiola, mentre registrava il suo videomessaggio pro referendum, pensava alla «senyera» oppure alla «estelada», l'altro vessillo, quello dal sapore indipendentista, in cui la stella è bianca e campeggia su un triangolo blu. L'attuale allenatore del Bayern Monaco, ex tecnico blaugrana, che vicino Barcellona è nato, da ieri è testimonial della campagna che promuove la consultazione del 9 novembre. «Il momento è arrivato, la grande maggioranza del popolo catalano vuole decidere il suo futuro, con lo strumento più democratico che c'è: il referendum», dice. E parla in inglese, con i sottotitoli in francese, o in tedesco, come a sottolineare che il referendum sul futuro assetto di una delle regioni più ricche della Spagna (l'altra è l'Euskadi, la terra che gli stranieri chiamano Paesi Baschi, dove la questione indipendenza ha radici antiche quanto la lingua, veramente diversa, veramente lontanissima dallo spagnolo, la cui origine nonostante secoli di studi resta sconosciuta) è un fatto che varca i confini nazionali e ci riguarda tutti. Per questo anche altri testimonial - il cantautore Lluìs Llach, lo scrittore Jaume Cabré - parlano o sono tradotti in altre lingue sul sito «cataloniavotes.eu».
Ma questa partita Pep Guardiola e Artur Mas, presidente catalano e di Convergencia i Unió, la formazione capofila del referendum, rischiano di perderla. I giocatori forse di voglia di vincere non ne hanno abbastanza: solo un catalano su tre, secondo un sondaggio di Sigma Dos pubblicato su El Mundo il 1 settembre, vuole l'indipendenza, anche se il 41,3 per cento auspica che la regione diventi uno Stato. Eccole le due bandiere, la «estelada» e la «senyera». Riflesse nei due quesiti: «Vuole che la Catalogna sia uno Stato?». E, se sì, «vuole che sia uno stato indipendente?».
La terza via è un accordo tra il governo centrale di Madrid e quello di Barcellona per attribuire alla Generalitat ulterior, e blindate, competenze che piace, secondo un altro sondaggio pubblicato da El Paìs , al 31 per cento dei catalani.
Ma senza accordo politico la consultazione indetta dall'agguerrito Mas tra 64 giorni potrebbe fallire: la Corte Costituzionale ha giudicato illegittima la dichiarazione di sovranità approvata un anno fa dal parlamento regionale, il governo di Madrid continua a non riconoscere il voto. L'unico punto di forza, per il movimento, sarebbe arrivare compatto al fatidico 9 novembre. Invece la squadra è divisa, la coalizione dei partiti indipendentisti negli ultimi mesi si sta sfaldando tra irriducibili della secessione e possibilisti dell'accordo, tra «estelada» e «senyera». E dentro CiU pesa come un macigno lo scandalo di Jordi Pujol, ex «president» della Generalitat e presidente onorario del partito, che ha ammesso di aver nascosto per decenni un tesoretto in Svizzera (provento di fondi neri, secondo la magistratura).
Alla Diada del 2013 un'enorme catena umana affollò le strade di Barcellona. Quasi tutti avevano in mano la «estelada». Chissà se quest'anno sarà diverso.
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