Emerson Fittipaldi, due volte campione del mondo di F1 – nel 1972 e nel 1974 – e vincitore di un’incredibile 500 miglia di Indianapolis nel 1989, è sull’orlo del fallimento. Solo a San Paolo del Brasile sono infatti un centinaio i processi che coinvolgono direttamente lui o le sue aziende, oltre 7 milioni di euro i soldi che deve alle principali banche del suo paese (ed allo stato brasiliano, alcuni conti gli sono stati bloccati con decreti ingiuntivi) e persino la mitica Penske con cui vinse il titolo Indy del 1989, è stata pignorata settimana scorsa. E proprio la notizia del pignoramento dei bolidi del suo museo ha fatto in breve il giro del Brasile e, a stretto giro di posta, del mondo.
Intervistato dal settimanale Veja, il più letto nel paese del samba, e messo di fronte alla triste realtà, l’ex campione delle 4 ruote, oggi 69enne, prima ha negato qualsiasi possibilità di fallimento imminente – “il mio patrimonio supera di molto i miei debiti, ma da quando mi hanno pignorato la Penske lo show che hanno fatto con me i media è stato vessatorio”.
Poi ha ammesso di avere perso molti soldi in un investimento milionario fatto nel 2008 con José Carlos Bumlai, imprenditore così amico di Lula da essere l’unica persona a poter entrare senza essere annunciato nel palazzo presidenziale verde-oro e da mesi in cella nell’ambito della Mani Pulite brasiliana. Con Bumlai sono iniziati i guai per Fittipaldi ma, assicura l’ex campione oggi caduto in disgrazia, “se il Brasile torna a funzionare in sei mesi pagherò quasi tutti i miei debiti”.
Il problema è che è assai difficile che ciò accada e, forse proprio perché consapevole di questo, dopo avere precisato di “non temere di essere arrestato perché tutto ciò che ho fatto è trasparente”, di “credere in Dio” e di essere un “uomo integro”, Emerson è scoppiato in lacrime davanti a Juliana Linhares, la giornalista che lo stava intervistando.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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