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Il comandamento choc dell'Isis: "Giusto rapire le donne e farle schiave sessuali"

Per gli estremisti è lecito rapire le donne degli infedeli e farle schiave. Una donna curda guida la resistenza a Kobane

Il comandamento choc dell'Isis: "Giusto rapire le donne e farle schiave sessuali"

Non c'è fine alla brutalità dell'Isis: dopo le decapitazioni degli ostaggi filmate e trasmesse in video, arrivano nuovi particolari inquietanti sulla barbarie dei tagliagole. Nel quarto numero della sua rivista online, l’Isis sostiene la legittimità del rapimento e della riduzione in schiavitù sessuale delle donne degli "infedeli". Tutto questo sulla base di un’interpretazione estrema della sharia, respinta dalla stragrande maggioranza del mondo musulmano. La formalizzazione di quella che è diventata una drammatica prassi, riferisce il sito della Cnn, è messa nera su bianco sulla rivista "Dabiq".

l nome della rivista, "Dabiq", è altamente simbolico, perché Dabiq è la regione che nel 1516 fu teatro della battaglia finale in cui gli Ottomani sconfissero i Mamelucchi, consolidando quello che nella storia si ricorda come l'ultimo califfato. Ciò a cui si ispira lo stato islamico del sedicente 'califfo' al Baghdadi. Pubblicato in diverse lingue europee, è uno degli strumenti attraverso cui gli uomini del 'califfo' al-Baghdadi cercano di radicalizzare e reclutare giovani ovunque nel mondo, soprattutto in Occidente. - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Sulla-copertina-della-rivista-Dabiq-la-bandiera-Isis-che-sventola-sul-obelisco-di-San-Pietro-2cbf686f-7242-4cfb-bfe7-118939c844cc.html#sthash.ZStJ78Jz.dpuf

Ma vediamo cosa dicono gli estremisti: "Ci si dovrebbe ricordare che ridurre in schiavitù le famiglie dei kuffar", gli infedeli, "e prendere le loro donne come concubine è un aspetto saldamente stabilito dalla sharia, la legge islamica". Il titolo dell’articolo è "La rinascita della schiavitù prima dell’Ora", termine che indica il "Giorno del giudizio". Si legge ancora che le donne della setta degli yazidi, la minoranza curda insediata soprattutto in Iraq, possono essere legittimamente catturate e forzate ad essere concubine o "schiave sessuali".

Un rapporto di Human Rights Watch (Hrw), basandosi sulle testimonianze di alcuni detenuti che sono riusciti a scappare, ha denunciato che gli jihadisti dell’Isis tengono prigionieri centinaia di yazidi iracheni e costringono giovani donne e adolescenti a sposare i loro combattenti. Hrw ricorda che sono centinaia gli uomini, le donne e i bambini yazidi detenuti dai jihadisti in diverse località dell’Iraq, in particolare a Mosul, Tal Afar e Sinjar, e nell’est della Siria. "Abbiamo raccolto storie scioccanti di conversioni religiose forzate, di matrimoni forzati e di abusi sessuali e schiavitù", ha denunciato Hrw nel rapporto redatto sulla base di 76 interviste.

Drammatiche le testimonianze di chi ha avuto la fortuna di fuggire dalla schiavitù. Una donna, Naveen, fuggita a settembre con i suoi quattro figli, ha raccontato di yazide costrette a sposarsi con i combattenti Isis: "Ho visto che le portavano via, circa 10 tra giovani donne e ragazze. Alcune avevano solo 12 o 13 anni, altre 20. Alcune di loro erano già sposate, ma senza figli, per cui lo Stato islamico non le ha considerate sposate". Quando sono tornate nel carcere di Badoush, vicino Mosul, le donne hanno raccontato: "Ci hanno sposato. Non abbiamo avuto scelta". Altre donne hanno raccontato di essere state vendute: come Rewshe, 15 anni, ceduta a un combattente palestinese dell’Isis per 1.000 dollari. Sempre Naveen ha raccontato anche della sorte toccata ai bambini maschi: "Nella prigione di Badoush ho visto anche portare via i bambini. Hanno detto che li portavano via per la loro educazione religiosa. Dalla mia cella hanno portato via sei o sette bambini, avevano tutti 10 o 11 anni. Io ho vestito mio figlio di 10 anni da bambina per nasconderlo".

Donna curda guida la battaglia contro l'Isis a Kobane

L'altra faccia della medaglia è rappresentato sempre da una donna, una quarantenne, che guida i combattenti curdi contro l'Isis nella città siriana di Kobane. Come rende noto l’Osservatorio siriano per i diritti umani, si chiama Mayssa Abdo ma è conosciuta soprattutto con il nome di battaglia Narin Afrin: guida le Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) al fianco di Mahmud Barkhodan. Mayssa è uno pseudonimo, in questo caso della regione natale della donna, una roccaforte curda che, come Kobane, si trova nella provincia settentrionale di Aleppo. "Quelli che la conoscono dicono che è istruita, intelligente e flemmatica - ha detto il direttore dell’ong, Rami Abdel Rahman - si preoccupa dello stato psichico dei combattenti e si interessa dei loro problemi".

La presenza delle donne nelle file dei combattenti curdi, in Siria come in Iraq e in Turchia, è nota da anni.

Il 5 ottobre scorso, proprio una donna, Dilar Gencxemis (nome di battaglia Arin Mirkan) è stata la prima kamikaze curda a farsi saltare in aria in Siria, dall’inizio della guerra, nel 2011, uccidendo decine di jihadisti alle porte di Kobane.

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