La criminologa: "Così aiutiamo i detenuti italiani reclusi all'estero"

La criminologa: "Così aiutiamo i detenuti italiani reclusi all'estero"

L’Associazione Carcere e Territorio di Brescia (ACT) gestisce, anche in collaborazione con altre realtà, circa una ventina di progetti. Tra questi, dal 2011, ha preso avvio l’Italian Prisoners Abroad (IPA), un programma di sostegno ai detenuti italiani reclusi all’estero. Per conoscere meglio le loro attività, ilGiornale.it ha incontrato Luisa Ravagnani, ricercatrice in criminologia presso l’Università degli studi di Brescia, vice presidente di ACT e responsabile del progetto IPA.

In cosa consiste questo progetto?

L’attività di IPA si sviluppa nell’ambito dello Special Interest Group on Foreign Nationals, nato in seno al Confederation of European Probation (CEP) con lo scopo di unire gli sforzi di tutti gli Stati che offrono supporto ai connazionali reclusi all’estero in un’unica piattaforma di comunicazione e progettazione che possa favorire lo scambio di buone prassi e la proposizione di idee per il miglioramento della reclusione all’estero. Grazie al forte sostegno dei partner europei e alla preziosa collaborazione con il Ministero degli affari esteri (MAE), IPA ha creato, nel 2013, il primo strumento informativo rivolto ai detenuti italiani all’estero, contenente importanti notizie su come gestire la carcerazione fin dal momento dell’arresto. Tale strumento è già stato messo a disposizione dei detenuti italiani in Spagna e contiamo di diffonderlo il più possibile ovunque, anche attraverso le reti diplomatiche italiane. Inoltre, siamo in grado di offrire supporto nella ricerca di realtà di volontariato che possano sostenere moralmente e materialmente la detenzione del connazionale. Abbiamo anche la possibilità di sfruttare la rete di esperti europea per aiutare il detenuto a reperire un avvocato di fiducia.

Riuscite anche a fornire aiuti materiali?

Nel caso si verifichino problemi nel reperimento di medicinali o cibo adeguato nel Paese di detenzione, possiamo attivarci per trovare, tramite altre organizzazioni non governative, una rapida risposta al problema. La disponibilità di intervento di IPA copre, potenzialmente, ogni problematica della quale il detenuto o la sua famiglia vogliano investirci, compatibilmente alle risorse economiche del progetto e alle regole di invio pacchi dell’istituto di pena ospitante. Possiamo, ad esempio, inviare libri e riviste in lingua italiana al detenuto in modo da evitare che perda il contatto con il Paese d’origine, oppure fornire allo stesso strumenti per l’apprendimento della lingua del Paese di detenzione. E molte altre cose. L’unico limite (doveroso) che ci siamo posti è ovviamente quello di non sovrapporci mai all’operato della diplomazia italiana o degli avvocati che seguono il caso e di mettere a disposizione di entrambi ogni eventuale informazione in nostro possesso che il detenuto ci autorizzi a rivelare/condividere.

Quali sono le maggiori difficoltà per un detenuto italiano all’estero?

Non è difficile immaginare quali e quante siano le difficoltà incontrate da un detenuto italiano all’estero. Tuttavia, per meglio comprendere la situazione sarebbe sufficiente visitare un istituto di pena italiano e verificare quali siano i principali problemi che lo straniero recluso nel nostro paese debba affrontare. A questo punto basterebbe focalizzare l’attenzione sul Paese nel quale il nostro connazionale si trovi recluso e tentare di comprendere che tipo di rapporto abbia il suddetto Paese con la tutela dei diritti umani. Se l’ago della bilancia si fermasse sul colore rosso, dovremmo seriamente iniziare a temere per le sue condizioni di vita. È dunque scontato dire che, dal momento che davvero molti sono i Paesi che non difendono in modo adeguato (o non difendono affatto) i diritti umani di tutti e, quindi, anche dei detenuti, la differenza fra una situazione difficile da sopportare e una impossibile è normalmente (ed inevitabilmente) segnata dalla posizione geografica in cui ci si trova reclusi.

Collaborate con la diplomazia italiana?

Per i casi che abbiamo gestito fino a questo momento abbiamo sempre riscontrato grande disponibilità sia a livello di MAE, sia a livello di rappresentanze diplomatiche all’estero. Nel 2010, prima di dare l’avvio ufficiale al progetto IPA, interpellammo quasi tutte le ambasciate e i consolati d’Italia per chiedere cosa ne pensassero della nostra offerta di supporto (supplementare a quello ufficiale garantito dal nostro Paese) ai connazionali reclusi all’estero: moltissime furono le risposte di gradimento e di apertura alla collaborazione che ci spinsero a proseguire questo progetto. Dall’esperienza anglosassone, da quella belga, da quella dei Paesi Bassi e da quella spagnola ho avuto modo di apprendere come, una stretta collaborazione fra Ministeri competenti e organizzazioni non governative che offrono gratuitamente il loro servizio possa garantire un livello superiore di supporto a chi si trova a vivere l’esperienza detentiva lontano da casa.

Secondo lei, si potrebbe fare di più?

In un Paese nel quale non si riesce a pensare di poter destinare fondi per migliorare le condizioni dei detenuti reclusi sul suolo nazionale (ma nemmeno dei malati, degli anziani o dei bambini) cadrebbe certamente nel vuoto qualunque richiesta di destinazione di ulteriori risorse economiche per i nostri detenuti all’estero, invece, investire di più in termini di costruzione di collaborazioni con enti no profit potrebbe dare risultati positivi nel breve periodo a costo zero. Come sempre, tra l’altro, senza nemmeno la necessità di inventare nulla ma solo la volontà di attingere da qualche buona idea funzionante oltralpe.

Come possono contattarvi?

Abbiamo un sito internet con tutti i recapiti per poterci contattare: www.act-bs.it.

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