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"Dall’american dream al sogno cinese: ecco cosa rischia l'Europa"

L’antiamericanismo come motore della nuova via della seta. “Per la Cina si tratta soltanto di stabilire la sua superiorità sul resto del mondo”

"Dall’american dream al sogno cinese: ecco cosa rischia l'Europa"

Mobilità sociale bloccata e diseguaglianze profonde segnano l’America di oggi, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il vecchio far West non sembra più essere “la terra delle opportunità” e del riscatto, almeno non per tutti. Ma se, come ricostruisce Alberto Bellotto ne “Il tramonto del sogno americano”, l’american dream si è infranto nel disincanto dell’Occidente, ora risorgerà cinese? Lo abbiamo chiesto a Giulia Pompili, giornalista esperta di Asia orientale.

Per lo storico Frederick Jackson Turner “non si può capire lo spirito americano se non si parte dal pioniere europeo, gettato nelle giungle del nuovo continente e diventato americano mano mano che la frontiera avanzava verso Ovest”. Qual è, invece, lo spirito che anima la Nuova Via della Seta: la “corsa” verso ovest del Dragone?

“La via della seta è un mastodontico progetto d’influenza di Pechino che ancora oggi è difficile definire. Soprattutto nei primi anni, tra il 2013 e il 2014, molto probabilmente non era chiaro neanche ai funzionari governativi a cosa servisse. Poi pian piano ha preso forma. La Via della Seta è oggi l’ombrello sotto il quale Pechino promuove la Cina fuori dai suoi confini, attraverso il business, l’integrazione commerciale e le partnership politiche. Attraverso il commercio e il business la Cina è diventata un pezzo fondamentale del mondo globalizzato, e ora vuole riscuotere la sua influenza”.

Quanto il “sogno cinese” di dominio commerciale può essere considerato una “copia” in salsa cinese dell’american dream?

“Non lo è. L’America aveva un modello da esportare che si ispirava ai valori di libertà, accoglienza e mobilità sociale americana. Per la Cina si tratta soltanto di stabilire la sua superiorità nei confronti del resto del mondo, facendo leva sul nazionalismo e l’antiamericanismo. Ovviamente anche l’America lo faceva per conquistare l’influenza globale, ma con metodi e risultati decisamente diversi”.

E come si traduce nella società: cosa sogna un cinese oggi?

“Questo dovremmo forse chiederlo ai cinesi. L’opinione pubblica in Cina però è molto variegata, non granitica come possiamo pensare. È anche per questo che il governo di Pechino usa sistematicamente la censura e la repressione, e soprattutto incide moltissimo sull’educazione dei giovani, regolamenta tutto. Serve a costruire quel nazionalismo fondamentale per costruire la Nuova Cina”.

Il dominio commerciale del mondo presuppone terre in pace dove moltiplicare vie di collegamento da inondare con le proprie merci. La Cina è il primo partner commerciale dell’Ucraina e ha appena siglato un patto trentennale di fornitura di gas con la Russia. Il “sogno cinese” potrebbe essere l’arma per un de-escalation del conflitto tra Mosca e Kiev?

“No. Il sogno cinese si basa sull’antiamericanismo, sullo smantellamento di quel modello. La partnership naturale della Cina è con la Russia. Sappiamo che a Pechino non piace la guerra, come non piace a nessuno che abbia a cuore il mercato. Ma per i paesi autoritari le priorità sono altre”.

Il tramonto del sogno americano

In America l’aumento delle diseguaglianze sta bloccando quella mobilità sociale che garantiva a tutti la propria chance di riscatto. Il mito dell’american dream e dell’America come terra delle opportunità pare al capolinea. Anche per tornare a sognare ora dobbiamo guardare a est?

“L’Asia orientale, quella delle democrazie, può sicuramente insegnarci qualcosa".

Ma non è che nel “sogno cinese” l’Occidente disincantato, noi, siamo contemplati solo come terra di conquista?

“No, anche di produzione di raffinatezza, storia arte e cultura.

Alla pari, insomma, con la millenaria cultura cinese”.

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