Picchiati fino a fargli vomitare sangue e sottoposti all'elettroshock. Questi sono i detenuti in Egitto. Rinchiusi senza mandato d'arresto e senza motivi, gli uomini vengono trasformati in prigionieri senza diritti. L'ultima testimonianza di chi ha subito questi trattamenti fa luce ancora una volta sulla realtà di questo Paese. E non c'è da stupirsi, poi, se il caso Regeni non è stato ancora risolto.
Tarek Hussein, avvocato egiziano di 24 anni, è stato incarcerato senza capi d'accusa e detenuto per cinque settimane. Il suo calvario inizia il 17 giugno scorso, nel quartiere di Kafr Hamza, nella zona settentrionale del Cairo. Quella mattina la madre di Tarek va ad aprire alla porta dopo aver sentito bussare e si trova davanti una cinquantina di poliziotti armati fino ai denti. I poliziotti cercano ovviamente Tarek, un attivista per la democrazia, il cui fratello minore era stato arrestato qualche tempo prima per due anni, accusato di aver indossato una maglietta con su scritto "Una nazione senza tortura". Tarek chiede che gli sia mostrato un mandato d'arresto, ma gli viene risposto che "sai bene che non è così che funzionano le cose". E lo prelevano, senza dare nessuna spiegazione.
Prigionieri pestati a sangue
Nei successivi 42 giorni, Tarek Hussein viene spostato da una stazione della polizia all'altra, in balia di quelli che in breve diventano i suoi aguzzini: tentativi di estorcere falsa testimonianza con la violenza, negazione dell'accesso ad un avvocato e interrogatori via via sempre più brutali, che comprendono l'utilizzo dell'elettrochoc. Le sue condizioni peggiorano, e quando inizia a vomitare sangue nessuno gli offre assistenza medica. In compenso gli viene detto di essere stato condannato a un anno di prigione, ma non gli viene mai comunicato il capo d'accusa. L'esperienza peggiore la vive in un centro di detenzione a Badr el Beheira, nella zona occidentale del delta del Nilo. "Appena sono arrivato là dentro mi è stato subito chiaro quali fossero le procedure, ho capito subito che erano particolarmente dure", spiega Hussein, raccontando di detenuti fatti spogliare nudi al loro arrivo e picchiati senza motivo con dei manganelli. Mentre attende di essere interrogato di nuovo, tarek sente le grida dei detenuti torturati nelle altre stanze, e vede diversi prigionieri ricoperti del loro sangue.
Durante gli interrogatori, gli viene chiesto diverse volte cosa pensasse della rivoluzione del 2011, delle sue relazioni con figure dell'opposizione e di alcuni suoi articoli.Non gli viene detto di cosa è accusato, finchè non viene portato di fronte ad un giudice. Lì, Tarek Hussein scopre di dover fare i conti con l'accusa di "incitamento contro lo Stato e appartenenza alla Fratellanza Musulmana", nuovamente bandita in Egitto dal regime di Al Sisi dopo l'esperienza del governo di Mohammad Morsi. L'accusa è falsa, al contrario Hussein era stato uno dei più fermi oppositori del movimento islamista fondato nel 1928, sopratutto durante l'anno in cui esso era stato al potere. Nonostante poco dopo il giudice avesse disposto il suo rilascio dietro cauzione, gli agenti della sicurezza interna ignorano la disposizione, continuando ad accusare Tarek Hussein di altri reati commessi in giro per l'Egitto.
Rapiti 4 cittadini al giorno dal 2013
Lo scorso anno Amnesty International aveva pubblicato un rapporto in cui si faceva luce sul vertiginoso aumento delle sparizioni forzate in Egitto a partire dal 2013: per un certo periodo, durante lo stato d'emergenza, le autorità egiziane sarebbero arrivate a rapire in media quattro cittadini al giorno, senza comunicare loro il motivo.
Uno di loro è l'amico e collega di Hussein, l'avvocato Ibrahim Metwally Hegazy, fondatore dell'Associazione delle famiglie dei desaparecidos e condannato a 5 anni di prigione. Hegazy viene associato soprattutto all'indagine sull'assassinio di Giulio Regeni lo scorso anno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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