"È eresia...". Dal Vaticano il siluro al patriarca Kirill

La distanza tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa sembra essersi amplificata dopo la guerra in Ucraina. Le parole del cardinale Koch si inseriscono nel solco di quelle di Papa Francesco dopo la videochiamata con il patriarca di Mosca

"È eresia...". Dal Vaticano il siluro al patriarca Kirill
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"È un'eresia che il patriarca osi legittimare la brutale e assurda guerra in Ucraina con ragioni pseudo-religiose". Il cardinale Kurt Koch non ha usato mezzi termini per condannare la linea tenuta dalla Chiesa ortodossa russa già all'indomani del 24 febbraio. Lo ha fatto in un'intervista concessa al quotidiano cattolico tedesco Die Tagespost.

Sono parole di particolare rilevanza non solo perché tirano in ballo l'accusa di eresia, rimpallata per secoli da Occidente a Oriente e viceversa con motivazioni teologiche, ma per la fonte da cui provengono. Koch non è un porporato qualunque, ma il prefetto del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, nuovo nome del Pontificio Consiglio che si occupa di ecumenismo e cura le relazioni con le altre Chiese e Comunità ecclesiali.

Il suo profilo, peraltro, è tutt'altro che barricadiero, trattandosi di un fine teologo svizzero dal carattere mite e dai toni gentili, spesso considerato anche per questo una sorta di "piccolo Joseph Ratzinger". Non bisogna dimenticare che c'era il cardinale Koch accanto a Papa Francesco nella storica videochiamata con il patriarca russo Kirill che si è svolta nel pomeriggio del 16 marzo e che ha avuto come inevitabile argomento di discussione proprio la guerra in Ucraina. Durante quel colloquio, Bergoglio aveva rimproverato il leader spirituale russo per il suo sostegno all'operazione militare di Putin, ricordandogli che "la Chiesa non deve usare il linguaggio della politica, ma il linguaggio di Gesù".

Il Papa ha raccontato i dettagli di quella videochiamata nell'intervista concessa a inizio maggio al direttore del Corsera, Luciano Fontana, spiegando che Kirill aveva iniziato la conversazione "con una carta in mano" da cui aveva letto "tutte le giustificazioni alla guerra", sentendosi rispondere che "il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin".

Una franchezza che è sintomo di quanto la guerra in Ucraina abbia condotto le relazioni tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa a uno stallo dopo decenni di lavoro sotterraneo che aveva consentito la realizzazione dello storico incontro di Cuba nel 2016. I due leader si sarebbero dovuti rivedere di persona a Gerusalemme il 14 giugno, ma il conflitto ha stravolto l'agenda fissata dalle rispettive diplomazie.

Le recenti parole di Koch sembrano certificare una distanza difficilmente colmabile a breve giro anche perché Kirill non può permettersi reazioni troppo morbide verso Roma, avendo a che fare con le pressioni interne del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa da sempre non favorevole al dialogo con i cattolici.

Non a caso, a inizio giugno il Sinodo - attribuendo la decisione al patriarca - ha silurato a sorpresa il potentissimo metropolita Hilarion di Volokolamsk dal ruolo di "ministro degli Esteri", spedendolo a Budapest.

Con il gelo ecumenico calato dopo il 24 febbraio e confermato dall'intervista di Koch a Die Tagespost, la sua linea considerata eccessivamente dialogante con la Chiesa cattolica potrebbe essergli costata non solo il posto di presidente del Dipartimento degli Affari Ecclesiastici Esterni ma anche la successione a Kirill che poco tempo fa veniva data quasi per scontata.

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