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Esiste un codice morale nei terroristi?

Per i terroristi indottrinati l'occidentale è percepito come un nemico non umano: qualsiasi tipo di negoziazione pacifica è inimmaginabile

Esiste un codice morale nei terroristi?

Il terrorismo è una forma di strategia basata sulla violenza per infondere paura per scopi politici, che provoca un giudizio morale sui metodi e obiettivi dell'attore. L’indottrinamento con il ricorso alla narrativa apocalittica crea generalmente una maggiore predisposizione nei terroristi nell’attaccare i bersagli con un'elevata concentrazione di civili. Per molto tempo ritenuti insulsi dall’Occidente, i sermoni dei teorici dell’Isis e di al- Qaeda hanno avuto l’obiettivo di creare attori con obiettivi assolutisti o non negoziabili, per quella profonda dicotomia tra bene e male.

Esiste un codice morale nei terroristi?

I testi strategici sottolineano che il jihadismo è una lotta a lungo termine contro gli Stati Uniti ed i loro alleati

Il codice morale nei terroristi è assente, i nemici de-umanizzati: in questo modo si elimina ogni ostacolo verso l'assassinio di massa di civili, tra cui donne e bambini. Il terrorismo, violando le norme internazionali in materia di targeting dei civili, si propone deliberatamente di apparire al di là della razionalizzazione per amplificare l'effetto psicologico di un attacco. La logica che cerca di massimizzare l'effetto psicologico del terrorismo è strutturata per compensare le capacità materiali asimmetriche. Come attore non statale che cerca di costringere un avversario di Stato molto più forte, il terrorismo rappresenta un tentativo razionale di massimizzare le risorse limitate. Tuttavia, la strumentalità dell'uso della forza è organizzata principalmente verso ulteriori obiettivi politici.

Creare posizioni non negoziabili: i testi strategici di al-Qaeda e dell’Isis

Non possiamo capire la mentalità jihadista se non studiamo attentamente i testi strategici di riferimento

Il principale testo operativo di al-Qaeda si intitola Management of Savagery: The Most Critical Stage Through Which the Umma Will Pass. Scritto da un certo Abu Bakr Naji è stato pubblicato nel 2004. E’ l’unica opera della letteratura pubblica jihadista ad essere stata firmata da Abu Bakr Naji. Si ritiene che fosse l’egiziano Mohammad Hasan Khalil al-Hakim noto anche come Abu Jihad al-Masri (l'egiziano) eliminato in un raid USA il 31 ottobre del 2008. Se Abu Bakr Naji e Mohammad Hasan Khalil al-Hakim fossero la stessa persona, all’autore bisognerebbe accreditare anche il testo strategico Myth of Delusion del 2006 ed il saggio Towards A New Strategy in Resisting the Occupier. Management of Savagery consta di 268 pagine divise in cinque argomenti. E' un lungo e complesso testo retorico che richiede uno studio accurato. L’opera presenta una strategia per creare/ sfruttare il caos o la ferocia dei regimi politici per formare succursali di al-Qaeda. Queste si sarebbero poi unite per proclamare un califfato mondiale che sarebbe stato innescato dal crollo della monarchia saudita. Al-Qaida, infine, avrebbe assunto il controllo della capitale religiosa del mondo islamico. Abu Bakr Naji, teorico della strategia “Gestione delle barbarie”, chiede di continuare la lotta jihadista contro l'Occidente, mentre predica pazienza per la creazione di un nuovo califfato.

The Jurisprudence of Blood o Fiqh al-Dima è la bibbia dell'Isis. 579 pagine scritte da Abu Abdullah al-Muhajir, veterano della guerra in Afghanistan. L'uomo dovrebbe essere ancora vivo. Parliamo di un soggetto le cui opere hanno plasmato il pensiero del moderno terrorismo islamico. Fiqh al-Dima espone un subdolo quadro teorico, legale e religioso per giustificare qualsiasi tipo di azione. Alcuni titoli dei 20 capitoli sono: "Decapitazione e mutilazione", "Non esiste la resa", "Rapimento degli infedeli in guerra", "Come uccidere le spie", "Uccisione indiscriminata di infedeli in guerra", "L'utilizzo delle armi di distruzione di massa". Il testo è in qualche modo basato sulle letture tradizionali, ma reinterpreta in modo distorto la teologia islamica. Questi testi sono essenziali per creare posizioni non negoziabili nei jihadisti.

La nuova strategia del suicidio

Abu Abdullah al-Muhajir offre una soluzione teologica che permette a chiunque lo desideri di eludere le ingiunzioni coraniche contro il suicidio. La sua posizione si riduce allo scopo ed all'intento dell'attacco.

“Il suicidio con l'intento di porre fine al dolore personale è vietato perché implica che la persona in questione sia intenzionalmente ignorante della misericordia di Dio. Tuttavia, se l'intento è quello di sostenere la religione, lo stesso atto diventa qualcosa di onorevole”. Molti teorici prima di lui hanno affrontato la liceità di un attacco suicida, ma Muhajir espande il concetto, abbattendo i precedenti limiti teologici.

“L’attentatore suicida non deve essere considerato come l’ultima risorsa in caso di guerra. L’attacco suicida non deve necessariamente determinare un beneficio per la comunità musulmana o essere concepito esclusivamente per alterare le sorti di un conflitto. Chi vuole morire per la giusta causa, sarà libero di farlo”. Ecco creata la flessibilità necessaria per attivare i martiri utilizzata dall'Isis e da al-Qaeda. Le opere di Abu Abdullah al-Muhajir continueranno a plasmare la traiettoria del militarismo salafista per gli anni a venire.

Perchè i terroristi prediligono l'attacco suicida?

L'attentato suicida è impossibile da prevedere e genera pubblicità. L'attenzione dei media è come l'ossigeno per i terroristi. L'attacco suicida riceve un'enorme copertura mediatica a causa della dinamiche e del danno scioccante inflitto indiscriminatamente contro bersagli e civili inermi. Da non dimenticare, infine, che per un attentato suicida di successo è richiesta poca esperienza e scarse risorse. Pertanto l'attacco suicida è molto più conveniente rispetto ad altre tattiche come la presa di ostaggi che richiede un investimento considerevolmente maggiore nelle risorse, nella pianificazione e nella formazione. Indipendentemente dai loro obiettivi a lungo termine, l'attentato suicida è utilizzato in modo razionale e calcolato dai terroristi. Se utilizzato frequentemente e troppo indiscriminatamente, può diventare meno scioccante nel tempo e persino alienare le popolazioni che i militanti hanno bisogno di sostenere per la loro lotta a lungo termine.

La distorta visione tattica di un bambino trasformato in arma

A differenza delle tattiche utilizzate dai kamikaze giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, gli attentati suicidi sono deliberatamente impiegati dai terroristi per un effetto politico calcolato. Dal 1983 l'attentato suicida è la tattica preferita dai terroristi dallo Sri Lanka alla Cecenia, dall'Afghanistan alla Siria. Le organizzazioni terroristiche sfruttano l’attacco suicida, meccanicamente semplice e tatticamente efficiente, per generare un supporto alla causa. La cintura esplosiva indossata da un kamikaze è la granata a frammentazione perfetta per il duplice motivo di essere intelligente e mimetizzata. Tatticamente parlando a vantaggio dell’attentatore suicida vi è la sua difficile individuazione e la capacità di colpire bersagli altamente sensibili o poco protetti, ma di enorme impatto emotivo è. Se il lone wolf (che solo non è mai) potrebbe essersi evoluto in branco per massimizzare l’efficacia e coordinare gli attacchi, il terrorismo islamico ha già dimostrato il fine delle sue azioni: spettacolarizzare la morte. La sensazione di insicurezza costante, il modificare il proprio stile di vita, il cedere alcune libertà individuali sacrificandole sull’altare della sicurezza: il terrorismo si pone l’obiettivo di scardinare gli schemi classici, modificando e plasmando lo status quo che la società conosce. Il danno inflitto dagli attentati suicidi è sia fisico che psicologico e si basa sull'elemento sorpresa. La sorpresa viene generata trasformando il quotidiano o l’innocenza dei bambini in armi (raramente senzienti).

La struttura delle narrazioni strategiche

Aumentare la coesione organizzativa

Caratterizzare i membri del terrorismo come vittime di una società ingiusta ne aumenta la coesione organizzativa, mentre nuove regole di condotta morale si applicano alle iterazione con gli avversari che non si percepiscono come umani. L'identità del gruppo è fondamentale per la formazione, l'assunzione e il funzionamento delle organizzazioni terroristiche. Le narrazioni strategiche impiegate dalle organizzazioni terroristiche seguono una precisa struttura progettata per mostrarsi idealizzata e non contraddittoria. Obiettivo della propaganda è il rafforzamento dell'identificazione negativa di coloro che non sono conformi agli ideali del gruppo. In sintesi, le comunicazioni terroristiche celebrano e definiscono l'identità dei militanti, definendo quali azioni devono essere adottate o evitate per preservare l'integrità dell'appartenenza al gruppo. Uno spiccato senso di vittimismo si traduce in un potente motivatore per giustificare la violenza e l'ideologia estremista. L’obiettivo è quello di scatenare una dissonanza cognitiva per azioni religiosamente, politicamente ed eticamente non giuste, ma idealmente necessarie per raggiungere gli obiettivi del gruppo. Tale giustificazione è essenziale per razionalizzare il coinvolgimento contro i gruppi percepiti come negativi. Le narrazioni strategiche sono strutturate per giustificare nel terrorista un’azione che si discosta dalla propria identità religiosa, culturale e politica. Le costanti informazioni stereotipate contribuiscono ad una distorta attribuzione dell’errore ed alla de-umanizzazione dell’avversario, inglobato in un’unica categoria.

De-umanizzare il nemico

Riscrivendo la percezione di un nemico lo si colloca al di fuori di un gruppo. Non riconoscendo nell’avversario alcun tipo di diritto, si elimina qualsiasi tipo di preoccupazione e rimorso nel compiere azioni efferate contro soggetti che non dispongono di caratteristiche umane. La retorica delle organizzazioni terroristiche impiega spesso linguaggi e immagini per ritrarre i nemici con spiccate caratteristiche negative a svariati livelli (affettivi, culturali, intellettivi). Enfatizzando la percezione di un nemico non umano infine, si annulla qualsiasi tipo di negoziazione pacifica. Il terrorismo è un fenomeno lucidamente razionale, all'interno di una più ampia strategia di comunicazione politica coercitiva, dove la violenza viene usata nella deliberata creazione di un senso di paura per influenzare un comportamento e un determinato gruppo di destinatari. L'illusione di una tattica indiscriminata è essenziale per colpire psicologicamente coloro che sono sfuggite alle conseguenze fisiche di un attacco terroristico. Queste risposte comportamentali per massimizzare l'utilità negli ambienti strategici dinamici, sono riconducibili ad una logica strumentale alla base dei piani di azione.

Come i terroristi manipolano le giovani menti

La vulnerabilità al terrorismo è determinata dall'estrema povertà, dalla scarsa istruzione e dall’instabilità costante. Poiché i bambini hanno meno probabilità di capire la differenza tra bene e male, sono facilmente manipolabili e attirati dalla violenza. Proprio l’istruzione gioca un ruolo fondamentale nel plasmare il futuro di un bambino. Nelle comunità povere ed instabili, i terroristi utilizzano la narrativa strategica per manipolare le giovani menti e portarle alla loro causa. Nella distorta visione della realtà propinata dai terroristi, il martirio diventa un'ambizione per i giovani. Se avessero ricevuto una corretta educazione in un contesto normale, non cercherebbero un valore nella morte. L'economia poi, game changer nella vita di una persona. Nelle nazioni povere i giovanissimi hanno maggiori probabilità di svolgere attività illegali per guadagnare denaro e sostenere la propria famiglia. L’Isis ad esempio è stata una delle prime organizzazioni terroristiche a stipendiare i giovani sotto i 18 anni, cosa che i governi locali non facevano. Negli ambienti instabili, i membri delle organizzazioni terroristiche costringono le famiglie ad inviare i propri figli a combattere per loro. Concentrarsi esclusivamente sulla leadership delle organizzazioni terroristiche non è sufficiente poiché manca il più ampio contesto socio-economico che consente loro il reclutamento. Violenze, umiliazioni e mancanza di opportunità derivano dal fallimento dei sistemi educativi e della stagnazione economica in molte parti del mondo.

Come l’Isis reclutava i bambini

In base alle testimonianze raccolte dalle organizzazioni umanitarie presenti in Iraq e Siria, l’Isis utilizzava delle procedure standard per reclutare i bambini. Nella fase iniziale i terroristi entravano in un villaggio o quartiere, organizzando gare di recitazione del Corano. Distribuivano poi caramelle, gelati e giocattoli. In questa fase il rapporto tra terroristi e bambini è estremamente cordiale. La seconda fase avveniva all'interno delle scuole del villaggio con osservatori che identificavano le propensioni individuali dei giovani studenti.

Per desensibilizzarli alla violenza venivano mostrati video di decapitazioni. Il processo era graduale, ma costante tramite il gioco. Inizialmente i bambini venivano invitati a decapitare le bambole. Successivamente iniziavano a partecipare dal vivo alle decapitazioni come premio: consegnare i coltelli al boia o condurre i prigionieri alla loro morte dinanzi la folla era considerato un privilegio agli occhi del bambino. Il processo era graduale. Nella terza fase i bambini prescelti venivano portati nei centri di addestramento militare. L'idilliaco rapporto delle prime fasi lasciava spazio ad esercitazioni, addestramento alle armi ed indottrinamento continuo. Le nuove regole di condotta morale si applicano alle iterazione con gli avversari che non si percepiscono come umani. La narrativa utilizzata dai terroristi ha il duplice obiettivo di rafforzare la coesione del gruppo e creare un imperativo morale per il cambiamento, inquadrando esattamente gli avversari. Dopo l'addestramento base, ai bambini veniva offerta la possibilità di specializzarsi in base alle loro propensioni. Non tutti i bambini radicalizzati venivano utilizzati in operazioni di martirio e combattimento. Molti venivano preparati per diventare i terroristi di domani.

Le vittime di oggi, i terroristi di domani

Qualsiasi tipo di vittoria non si basa sulla conquista fisica del territorio, ma sulla volontà di piegare la forza di volontà ed il desiderio di combattere del nemico. La visione del mondo salafita jihadista è sia transnazionale che transgenerazionale: l'ideologia non può essere sconfitta militarmente. La stabilità politica gioca un ruolo importante nel mantenere una nazione sicura mentre promuove programmi economici e di sviluppo. Senza tale stabilità è impossibile attuare tali progetti per aiutare i cittadini di una nazione. Il terrorismo è un’ideologia per una guerra di contenuti: istruzione e conoscenza sono strumenti essenziali per sradicare l'estremismo giovanile, motivo per cui è imperativo negare le risorse potenziali da cui attingere. E' opportuno quindi contrastare le istituzioni che assistono i gruppi terroristici nella mobilitazione e nel reclutamento. I leader religiosi dovrebbero condannare l'estremismo giovanile, mentre lo stato dovrebbe costruire sistemi scolastici statali come alternativa a quelli religiosi privati.

Necessario, infine, scardinare lo status quo che premia gli attentatori suicidi ed i loro parenti.

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