Uno dei punti fondamentali dell'agenda di Donald Trump è la regolamentazione dell'immigrazione, partendo dall'espulsione di chi non ha titolo per restare negli Stati Uniti. Visto che non è sufficiente un ordine esecutivo né una nuova legge, la Casa Bianca intende muoversi sul fronte giudiziario, velocizzando le procedure di espulsione (e di conseguenza facendone di più). Ne parla il Washington Post, che fa riferimento ad alcune direttive emanate dal dipartimento di Giustizia. C'è l'idea di fissare un livello minimo di cas da trattare al di sotto del quale un giudice impegnato sull'immigrazione non deve andare se vuole evitare che il proprio operato sia definito non soddisfacente. I casi che vanno trattati sono almeno settecento all'anno.
Ovviamente subito è divampata la polemica, con le associazioni di categoria che definiscono questa mossa "un passo indietro senza precedenti" che va a minare l'indipendenza dei giudici. Ashley Tabaddor, della National Association of Immigration Judges, osserva che la scelta "potrebbe mettere in discussione l'integrità e l'imparzialità della corte se la decisione di un giudice fosse influenzata da fattori esterni ai fatti del caso".
Il problema numeri non è da trascurare.
Devin O'Malley, portavoce del dipartimento di Giustizia, spiega al Washington Post che ogni magistrato affronta ogni anno circa 678 casi, ma alcuni superano quota mille. Il problema è che ci sono tanti casi da affrontare, con almeno 600mila immigrati in attesa che il proprio caso venga affrontato. Con alcuni di essi che attendono anni prima che venga loro fissata un'udienza.
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