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Joe Biden, un ritratto

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto di America virus America di Maria Luisa Rossi Hawkins (Piemme)

Joe Biden, un ritratto

Anni prima di diventare il conclamato front runner nella campagna presidenziale del 2020, nel 1972 Biden è un giovane ambizioso che sfida il veterano repubblicano Caleb Boggs per il posto di rappresentante del Delaware in Senato. Biden vince l’elezione a soli ventinove anni e comincia la sua avventura politica. Poche settimane dopo, irrompe nella sua esistenza la prima grande tragedia della sua vita. Un camion travolge la moglie e i figli mentre sono alla ricerca dell’albero di Natale. Neilia Biden e la figlioletta di tredici mesi muoiono sul colpo, gli altri due bambini si salvano miracolosamente. Segnato dalla tragedia, Biden pensa di rinunciare all’incarico al Senato per dedicarsi ai figli di due e tre anni sopravvissuti all’incidente ma decide poi di assecondare le sue ambizioni continuando il mandato per cui è stato eletto. Per rimanere vicino ai figli Biden continua a vivere a Wilmington, spostandosi a Washington dc con il treno tutti i giorni. Per trent’anni, middle class Joe farà il pendolare, ribattezzato Amtrak Joe per le ore trascorse sulla ferrovia che lo porta a Washington. Nel 1975, il fratello Frank organizza per Joe un appuntamento con una sua amica, Jill Tracy Jacobs; due anni dopo, i due si sposano e nel 1981 hanno una bambina, Ashley. Il battesimo di Biden nella Commissione Giustizia del Senato degli Stati Uniti nel 1981 avviene con l’udienza per la nomina del giudice alla Corte Suprema Clarence Thomas, accusato dall’avvocato Anita Hill di molestie sessuali. Biden, insieme a un gruppo di senatori, difende Thomas mettendo sul banco degli imputati Anita Hill. La donna viene diffamata, chiamata una maniaca sessuale, ritenuta bugiarda e visionaria. La sua credibilità è distrutta come la sua vita e la sua carriera. Anita Hill diventa così il simbolo ante litteram del movimento #MeToo. Già negli anni Settanta Biden abbraccia un’altra posizione controversa, opponendosi al desegregation busing. Con questo provvedimento si tentava di affrontare la segregazione fra neri e bianchi trasportando gli studenti afroamericani con gli scuolabus da un distretto scolastico all’altro per permettere loro di frequentare le scuole dei bianchi. In seguito, negli anni Ottanta, Biden approva la revisione del codice penale con cui vengono inasprite le pene per la detenzione di droghe e nel ’94 firma il Violent Crime Control and Law Enforcement Act, un disegno di legge che provoca l’incarcerazione di massa agli inizi degli anni Novanta e punisce soprattutto le comunità nera e ispanica. Nel 1987 Biden si candida per la prima volta alle elezioni presidenziali. Però viene accusato nuovamente di plagio come ai tempi del college. Il suo discorso finale nel dibattito con il suo concorrente risulta copiato anche nei gesti da quello del politico laburista inglese Neil Kinnock. Biden deve ritirarsi dalla corsa e Michael Dukakis vince le primarie democratiche, sconfitto in seguito da George H.W. Bush. Poco dopo viene operato al cervello a causa di due aneurismi che rischiano di fargli perdere l’uso della parola tenendolo lontano dal Senato per sette mesi. Biden si oppone alla Guerra del Golfo nel ’91 e negozia la trattativa per una soluzione del conflitto nei Balcani. Nel 2002 vota a favore dell’intervento militare americano in Iraq.

Biden viene rieletto al Senato sei volte, fino al 2008, quando, vent’anni dopo il suo primo tentativo, si candida nuovamente alla presidenza degli Stati Uniti e inciampa nelle sue gaffe proverbiali. In un’intervista al «New York Observer», Biden si riferisce a Obama come «il primo afroamericano brillante, pulito e di bell’aspetto e in grado di parlare bene» offendendo la sensibilità della comunità afroamericana e del partito. Nonostante il pentimento e le scuse, la gente non dimentica la frase infelice e Biden arriva solo quinto nel caucus dell’Iowa, ritirandosi poi dalla corsa. La nuova stella del Partito democratico Barack Obama individua in lui l’uomo su cui appoggiarsi, il politico di cui fidarsi. La sua familiarità con Washington, con la politica estera e il suo appeal presso la classe media lo rendono infatti il compagno perfetto e Obama lo sceglie come running mate per la sua avventura presidenziale. Nel 2008 Biden entra alla Casa Bianca come il vicepresidente degli Stati Uniti. Attraverso la sua disinvoltura con le istituzioni, Biden conferisce a Obama quell’esperienza politica che manca al giovane e impacciato senatore dell’Illinois, rivelandosi per lui una risorsa imprescindibile. Con trent’anni di Senato alle spalle Biden conosce il sistema e sa far valere i suoi contatti. Si rivela determinante al Congresso nel 2009 per far imporre le misure volute da Obama in uno dei momenti più difficili della storia americana, quello della crisi economica. Biden gestisce inoltre personalmente la questione irachena e approva nel 2011 l’intervento americano in Libia. È contrario al piano che porta all’uccisione di Bin Laden.

Scaduto il secondo mandato di Obama, Biden ne diventa il successore designato. Ma nel 2015, qualche mese prima dell’inizio della campagna elettorale, muore Beau Biden, il primogenito del vicepresidente. A soli quarantasei anni, il procuratore generale del Delaware e probabile candidato democratico a governatore dello stesso stato viene stroncato dal cancro al cervello. Il dolore di Biden strazia l’America, che partecipa e assiste al suo cordoglio attraverso le sue toccanti apparizioni in tv. Biden si ritira dalla corsa e giustifica la sua decisione attribuendola al dolore per la perdita di Beau. Appoggia la candidatura di Hillary Clinton, che già aveva organizzato la propria avventura elettorale prosciugando fondi e risorse dall’eventuale candidatura di Biden. Obama, testimone di questo inusuale passaggio di consegne, lo consola assegnandogli la Freedom Medal of Honor, la massima onorificenza americana, definendolo pubblicamente «il migliore vicepresidente che l’America abbia mai avuto». Negli otto anni trascorsi insieme alla Casa Bianca, tra i due si forma un rapporto che trascende quello professionale e sfocia in amicizia: quando i Biden erano sul punto di vendere la propria casa per affrontare le cure oncologiche del figlio, Obama si è offerto di aiutarli economicamente. In quel momento, a settantasei anni, con una carriera politica importante e consumata nelle segrete stanze di Washington, le prospettive presidenziali di Biden sembrano ormai definitivamente tramontate. Ma con l’inarrestabile Trump, un parterre di candidati fra i più disparati e la minaccia del socialismo di Sanders che prevale sulle forze moderate, nell’aprile del 2019 Biden annuncia a sorpresa la sua candidatura. La campagna elettorale è subito segnata dall’Ucrainagate, uno scandalo attraverso il quale i democratici cercano di arrivare all’impeachment di Trump.

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Anche Joe Biden viene coinvolto in qualche modo nell’impeachment perché dovrà spiegare la posizione di suo figlio Hunter, che solo grazie ai contatti del padre siede nel consiglio di amministrazione della società del gas ucraina. «Quello che ha fatto Trump è sbagliato,» ha detto Elizabeth Warren in campagna elettorale «ma ciò che ha fatto Biden dovrebbe essere illegale.»

Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A. © 2020 Mondadori Libri S.p.

A., Milano

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