Nelle immagini che annunciano il sequestro dei lavoratori mettono subito in chiaro che cosa vogliano da Erdoğan: più controlli per fermare i jihadisti turchi che partono per unirsi al sedicente Stato islamico in Iraq e la rottura con Erbil, con quei curdi con cui Ankara fa affari, importandone il petrolio e investendo nella regione semi-autonoma.
Sono diciassette i lavoratori turchi rapiti in Iraq, diciotto con un curdo iracheno, un traduttore, finiti nelle mani di una milizia la cui identità è piuttosto fumosa e che erano impegnati con la Nurol Holding nella costruzione di uno stadio nel quartiere a maggioranza sciita di Sadr City. Il loro sequestro all'inizio di settembre.
Degli uomini che tengono in ostaggio il gruppo si sa ben poco. Nel filmato non parlano né fanno segno e sono coperti da capo a piedi, passamontagna e occhiali compresi. Tutto ciò che si può evincere è scritto sulla parete alle loro spalle e nelle grafiche che espongono un lungo elenco di richieste.
Sullo sfondo, su una parete blu, un motto (Labbaik ya Hussain), che pare indicare nei sequestratori un gruppo sciita. Un riferimento al terzo imam dello sciismo, trucidato nella battaglia di Karbala, ma anche il nome di un'operazione a cui partecipano le milizie in Iraq, pitturato accanto a uno "Squadrone della morte" che è l'unica indicazione visibile sull'identità degli uomini armati alle spalle dei lavoratori.
"Siamo venuti qui per guadagnarci il pane - dice nel video uno degli ostaggi -. Ora siamo vittime del risultato di alcune scelte di politica estera". C'è dunque Ankara nel mirino dei miliziani, accusata di lasciare troppo permeabili i confini e permettere il passaggio di chi va a ingrossare le fila dello Stato islamico, ma pure per i rapporti che la legano a Erbil.
La Turchia permette il passaggio del petrolio che arriva dal Kurdistan iracheno, una scelta che viene definita come "un furto" ai danni dell'Iraq. I rapporti tra la regione semi-autonoma e Ankara sono abbastanza stretti da permettere ai turchi di continuare la loro lotta contro il Pkk, ingaggiata dopo la rottura del trattato di pace, anche sul suolo iracheno, dove a colpire sono stati non solo gli aerei, ma pure truppe di fanteria.
I sequestratori chiedono anche la fine dell'assedio posto a Kefraya e al-Fua, ultime sacche di resistenza dei lealisti nella provincia siriana di Idlib, nelle mani di una coalizione islamista. Promettono di "colpire gli interessi della Turchia e i suoi agenti in Iraq nel modo più violento", se le loro richieste non saranno accolte.
Una minaccia per nulla velata,
condannata con forza dalla massima autorità sciita del Paese."Chiediamo il rilascio degli ostaggi e la fine di questi atti che danneggiano l'immagine dell'islam", ha tuonato l'ayatollah Ali al-Sistani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.