Lone Wolf, lupo solitario. Sebbene non agisca mai da solo, è considerata l’arma più pericolosa del pianeta per la sua difficile individuazione e la capacità di colpire bersagli altamente sensibili o poco protetti, ma di enorme impatto emotivo. La cintura esplosiva indossata da un kamikaze, ad esempio, è ritenuta la granata a frammentazione perfetta, per il duplice motivo di essere “intelligente” e “mimetizzata”.
Ma il concetto di “lone wolf” si è ormai evoluto, tanto che adesso potremmo parlare persino di branco. Teorizzato durante la “guerra globale al terrore” dell’amministrazione Bush nel 2001, il concetto del lupo solitario nasce come contenitore verbale per racchiudere le minacce jihadiste globali, strutturalmente diverse dalle storiche e grandi organizzazioni terroristiche.
Il terrorismo, per sua natura, ha la capacità si scardinare gli schemi classici, portandoli ad un altro livello. La nuova strategia dello Stato islamico, così come confermato dall’Europol poche ore fa, mira alla creazione di piccole unità coordinate da un comando centrale e del tutto autosufficienti. Per definizione, un terrorista è spinto da obiettivi politici, ma tali motivazioni di solito non rappresentano fattori predittivi per un possibile attentato. I lupi solitari, condividono la simile psicologia, la stessa che li ha estraniati dalla società che hanno iniziato ad odiare: l’ansia da riscatto sociale è componente essenziale dell’individuo che si avvicina ai movimenti radicali jihadisti. I lone wolf dello Stato islamico si discostano da quelli teorizzati quindi anni fa. Molti di loro (così come avvenuto per gli episodi avvenuti in Francia ed in Belgio) provengono dal mondo criminale. Proprio la criminalità continua ad intrecciarsi sempre più con l’estremismo. Ecco che allora il concetto stesso di terrorismo assume un nuovo significato: la causa politica o religiosa, diventa soltanto il pretesto per continuare un comportamento illecito.
L’evoluzione del lone wolf va quindi ricercata nel branco criminale consacrato alla causa jihadista. Se il lone wolf (che solo non è mai) potrebbe essersi evoluto in branco per massimizzare l’efficacia e coordinare gli attacchi, il terrorismo islamico ha già dimostrato il fine delle sue azioni contro l’Occidente: spettacolarizzare la morte. La sensazione di insicurezza costante, il modificare il proprio stile di vita, il cedere alcune libertà individuali sacrificandole sull’altare della sicurezza: il terrorismo si pone l’obiettivo di scardinare gli schemi classici, modificando e plasmando lo status quo che la società conosce.
Gli attentati di Parigi ad esempio hanno dimostrato un target comune: gli stadi. Sotto il profilo culturale, gli stadi rappresentano i templi dello sport per eccellenza dell’Occidente. Ecco che la struttura che ospita lo sport diventa teatro di battaglia. Di per se, la deflagrazione di un ordigno è soltanto il primo passo, per certi versi quello “meno” traumatico rispetto alla paura che episodi del genere instillano nella massa. E la paura, rispetto al dolore che si può trasformare in perenne ricordo, rimane una costante che modifica il modo di vivere. Quindi, la strategia degli stadi (al momento è localizzata in Europa) ha già dimostrato di avere senso e si colloca in una nuova tattica che mira alla dispersione delle forze massimizzando la paura nelle masse.
Gli stadi dicevamo. Ospitano decine di migliaia di persone: alcune strutture sono in grado di contenere anche 90 mila tifosi. Non si prestano a tutti gli attacchi. A differenza della metropolitana, per esempio, attaccare con il gas uno stadio non avrebbe senso per il fatto che si trova in una condizione ottimale sotto il profilo del riciclo dell’aria. Lo stadio in se, però, ha un fattore determinante: ospita una folla che potrebbe, in pochissimo tempo, diventare ingestibile. Se uno degli attentatori di Parigi, fosse riuscito a farsi esplodere o a far detonare un ordigno a ridosso di un gate stracolmo di tifosi, si sarebbe scatenato l’inferno. Ma più di ogni altra cosa lo stadio ha una caratteristica particolare: la diretta televisiva.
Sappiamo che lo Stato islamico è, almeno ufficialmente, in lotta con al-Qaeda. Quest’ultima non riconosce la sovranità del Califfato. Nonostante l’Isis abbia superato in tutto al-Qaeda, manca ancora del suo “spot” mondiale come quello indelebile dell’11 settembre. Ed è questo che cercano quelli dell’Isis: un “promo” del terrore in diretta mondiale per il califfo. I social permettono di raggiungere milioni di persone, ma tale raggio d’azione non è lontanamente paragonabile ad una diretta televisiva di una partita di calcio, seconda forse ad una partita di football americano. Il terrorista della porta accanto ha dalla sua l’anonimato, la capacità di essere insospettabile e la possibilità concreta di costruire una pentola a pressione riempita di esplosivo. E’ ritenuto l’IED più facile da realizzare perché, oltre all’esplosivo in se, può essere realizzato con materiali facilmente reperibili, alcuni dei quali disponibili in ogni casa. La detonazione può essere attivata da un semplice dispositivo elettronico come un orologio digitale, una sveglia o un telefono cellulare. La potenza dell’ordigno dipende dalla quantità di esplosivo che può essere riposto all’interno. La pentola a pressione, per la sua particolare forma e chiusura, appunto a pressione, contiene inizialmente l’espansione dell’energia, moltiplicandola esponenzialmente.
Considerando, infine, l’incredibile possibilità di collocare all’interno qualsiasi oggetto domestico, come chiodi o bulloni, si capisce la capacità di frammentazione della pentola a pressione, potenzialmente letale alla brevissima distanza. E le istruzioni sono disponibili sulla rete.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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