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L'ombra della pista caucasica sull'attentato di Istanbul

Ecco la cellula caucasica su cui si addensano i sospetti

L'ombra della pista caucasica sull'attentato di Istanbul

Lo scorso 29 gennaio il NAK, Comitato Nazionale Anti-Terrorismo russo, aveva lanciato l’allarme tramite il suo portavoce, Andrey Przhezdomsky: una cellula di jihadisti localizzati in Siria, tutti di origine del Caucaso settentrionale e capeggiati da Ahmet Chatayev, stava preparando attentati in Europa e in Russia. Przhezdomsky aveva inoltre aggiunto che nel 2015 Mosca aveva sventato tutti i tentativi di attentato organizzati dai jihadisti. Il NAK annunciava inoltre che altri jihadisti erano presenti nei Balcani con l’obiettivo di penetrare in Europa. Informazioni che erano note sia all’intelligence russa che a quella dei paesi balcanici. 3 Ieri trapelava l’ipotesi secondo cui a organizzare l’attentato all’aeroporto di Istanbul sarebbe proprio una cellula di jihadisti proveniente dal Nord del Caucaso e dall’Asia Centrale, precisamente Cecenia, Daghestan, Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan, tutti paesi dell’ex Unione Sovietica.

Tra di loro plausibilmente anche una donna, come spesso accade nella “tradizione” jihadista del Caucaso. Una cellula forse composta da otto persone, di cui tre eliminate, una arrestata e altre quattro ancora latitanti. A capo del gruppo di fuoco potrebbe esserci Ahmet Rajapovich Chatayev, noto anche come “il monco” per aver perso un braccio durante la Seconda Guerra di Cecenia contro i russi. Nato a Vedeno, distretto di Vedensky, in Cecenia, il 14 luglio 1980, cittadino russo, membro del gruppo terrorista Jamaat al-Tawhid wa al-Jihad e dell’Emirato del Caucaso, era considerato il referente per l’Europa dell’ex leader dell’Emirato, Doku Umarov, eliminato dai russi nel 2013, ma era poi passato all’ISIS, presumibilmente sotto il comando del georgiano Abu Omar al-Shishani. Chatayev era ricercato da Mosca dal 2003 per una lunga lista di crimini legati al terrorismo e alla banda armata; su di lui spiccava un mandato di cattura, ma proprio nello stesso anno l’Austria gli conferiva lo status di rifugiato politico. A suo favore si mobilitava anche Amnesty, giustificando che una eventuale estradizione in Russia lo avrebbe posto in pericolo di vita. Chatayev era stato arrestato una prima volta in Svezia nel 2008 per possesso di armi da fuoco e condannato a poco più di un anno di reclusione. In seguito veniva fermato in Ucraina nel 2010, in Bulgaria nel 2011 e in Georgia nel 2012 ma sempre Ibid rilasciato, su pressioni di varie organizzazioni umanitarie tra cui Amnesty e anche gruppi nazionalisti ucraini come "Trizut" (Tridente), capeggiato da Dmitro Yarosh. A questo punto sorge lecito chiedersi perché Chatayev fosse libero di circolare per l’Europa e la Georgia nonostante su di lui spiccasse un mandato di cattura per terrorismo.

Il fatto che i jihadisti possano provenire da Raqqa e siano legati alla cellula del Caucaso non sorprende per diversi motivi: 1- E’ evidente che i jihadisti dell’ISIS e di al-Nusra possono tranquillamente attraversare il confine tra Siria e Turchia. Del resto molti di loro venivano curati in ospedali in territorio turco. 2- Per anni l’aeroporto internazionale di Istanbul è stato crocevia per migliaia di jihadisti che durante il tragitto avranno pur studiato le dinamiche interne ed esterne dello scalo. 3- E’ noto come in Turchia settentrionale, Istanbul inclusa, ci sia una grande diaspora di ceceni e daghestani, alcuni dei quali attivisti di gruppi radicali anti- Mosca che hanno trovato rifugio nel paese, sfruttando le simpatie del governo Erdogan per i vicini turcofoni, per la loro ideologia legata all’Islam radicale, tutto condito in chiave anti-russa (in linea con le politiche di Washington). E’ dunque plausibile credere che la network jihadista cecena abbia potuto instaurare nel tempo una rete informativa e logistica da non sottovalutare e che potrebbe essere tornata utile anche per organizzare l’attacco. 4- Molti leader ceceni sono stati ospitati in Turchia, tra cui Musa Ataev, Ruslan Yamadayev e Gazi Edisultanov, tutti misteriosamente eliminati. Non dimentichiamo poi che lo scorso novembre, sempre a Istanbul, veniva ucciso Abdulvakhid Edelgireyev, jihadista ceceno che dopo essersi dato alla macchia per diverso tempo tra le montagne del Caucaso, aveva trovato rifugio anch’egli in Turchia. Con queste premesse è evidente che la cellula potenzialmente più idonea per mettere in atto un attacco ad Istanbul non poteva che essere del Caucaso, sia per motivi logistici che organizzativi.

Chi è causa del suo male, pianga se stesso.

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