L'Europa accelera sulle sanzioni al petrolio russo. Sono queste le indicazioni che arrivano dai piani alti dell'Unione europea e dai singoli Paesi membri. A chiarire il percorso intrapreso da Bruxelles è l'apertura del Financial Times, che sul proprio sito conferma l'"intensificazione" dell'azione europea contro l'oro nero di Mosca. Un messaggio particolarmente importante visti i contatti ad altissimo livello del quotidiano finanziario e che chiarisce quello che ormai appare essere il tracciato seguito dall'Europa nei confronti della Russia.
Il graduale embargo al petrolio russo è il frutto di una progressiva evoluzione non solo della guerra in Ucraina, ma anche dei negoziati tra America ed Europa. Per lungo tempo, infatti, la Germania aveva posto un veto quasi assoluto alla chiusura degli idrocarburi russi confermata anche dal cancelliere Olaf Scholz. Per Berlino, i rischi di far ricadere gli effetti di questa scelta sull'economia nazionale erano troppo alti, e avrebbe preferito una rotta diversa in cui a pagare non dovevano essere i lavoratori tedeschi ma solo ed esclusivamente l'economia del Paese invasore. Lo conferma anche il ministro dell'Economia e del Clima Robert Habeck, che, come scrive Ansa, in conferenza stampa a Berlino ha detto di dovere "evitare di provocare catastrofi economiche per il fatto di non agire in modo intelligente".
Trattive e divisioni tra Ue e Usa
Questa diversità di vedute ha portato a una vera e propria spaccatura all'interno del blocco euro-atlantico. Motivi non solo di carattere contingente, ma anche ideologico e strategico. Da una parte c'è appunto l'evidente disparità di interesse tra un Paese sostanzialmente indipendente dall'energia di Mosca, gli Usa, e Paesi che hanno una dipendenza relativa dal gas e dal petrolio russo e che non possono permettersi un distacco totale e repentino a pena di gravi conseguenze economiche sul sistema produttivo e sociali. Dall'altro lato c'è un tema anche strategico, se non proprio ideologico, e che riguarda la volontà europea di evitare di essere troppo aderenti a un piano che prevede Washington come "poliziotto" delle sanzioni e dei rapporti economici degli Stati europei.
Lo rivela Federico Fubini per il Corriere della Sera, secondo cui diverse fonti riferiscono che le trattative tra Stati Uniti, rappresentati dal segretaria al Tesoro Janet Yellen, e i vari ministri delle Finanze, si siano arenate proprio sui dubbi europei, in particolare francesi, riguardo la possibilità che Washington si sarebbe fatta garante di un tetto massimo al prezzo del petrolio russo in tutto il mondo. Ad aprile, infatti, racconta il Corriere, gli Usa avrebbero proposto un sistema per cui veniva definito un tetto massimo del prezzo del petrolio senza chiudere all'acquisto dalla Federazione Russa. Se quest'ultima avesse deciso di esportare a prezzi più convenienti in altri mercati, sarebbero scattate le sanzioni ai nuovi clienti. Una scelta che però da Parigi e da altre cancellerie avrebbero escluso: non piaceva l'idea che fossero gli Stati Uniti a vigilare con le sanzioni su una cosa che riguarda gli interessi Ue.
Le aperture tedesche
Tra le due ipotesi, resta dunque in piedi l'embargo. Un'ipotesi che appare a questo punto un'unica strada percorribile tra le pressioni politiche statunitensi e Nato, il freno francese al sistema di sanzioni proposto dagli Usa e le prime aperture della Germania su un graduale blocco all'import di petrolio russo. La stessa ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha detto che il sesto pacchetto di sanzioni prevede questa ipotesi e che il blocco all'oro nero moscovita sarebbe escluso solo in caso di ritiro delle forze russe dall'Ucraina. Scenario che a questo punto della guerra appare alquanto aleatorio. Nessuno crede probabile un ritiro russo in assenza di una chiara vittoria sul campo. Tanto più che sarebbe difficile, al momento, pensare di ripristinare i rapporti commerciali ed energetici con il Cremlino anche dopo un ritiro.
L'Ungheria frena sulle sanzioni alla Russia
Il blocco europeo dunque sembra orientato ormai su queste nuove sanzioni. Tutti a eccezione dell'Ungheria, Paese in cui da tempo esiste una forte resistenza a partecipare alle azioni della Nato e dell'Unione europea nei confronti della Russia. Il portavoce del governo, Zoltan Kovacs, ha scritto su Twitter un messaggio molto chiaro: "La posizione ungherese riguardo a qualsiasi embargo su petrolio e gas non è cambiata: non li sosteniamo". Una scelta di campo che però non deve far sottovalutare due elementi. Il primo è quello di riuscire a strappare una posizione politica in seno alla stesa Ue in modo da ottenere una qualche forma di trattativa su altri nodi del rapporti tra Budapest e Bruxelles. Va ricordato infatti che per raggiungere l'obiettivo del pacchetto sanzionatorio più duro occorre l'unanimità: quindi il governo di Viktor Orban ha tutto l'interesse a trappare a questo punto condizioni di favore.
A questo si deve aggiungere poi l'interessi di Orban nell'evitare di rompere con Putin. Forte del consenso elettorale dimostrato nelle più recenti elezioni, il leader magiaro sa che l'opinoone pubblica del suo Paese non sostiene una rottura dei rapporti con Mosca pur essendo saldamente nel Patto atlantico.
Budapest rimane l'unica capitale dell'Europa orientale a non avere scelto la via della totale contrapposizione. E questo può servire anche alla stessa Germania che, dovendo cedere alle pressioni Usa, può utilizzare la leva ungherese per scardinare alcune scelte troppo granitiche in ambito euro-atlantico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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