Forse tutto è iniziato con un piatto di zuppa. Anzi, con un piatto di sci, un brodo molto aspro della tradizione contadina russa a base di cavolo. Rasputin, il santo diavolo alla corte dei Romanov, ne andava pazzo. Una sera entrò in un ristorante nel centro di San Pietroburgo e ne chiese una porzione. Lo chef, un certo Spiridon, lo cucinò alla perfezione, tanto che il santone volle conoscerlo. "'Di chi sei'" - chiese Rasputin al cuoco, come racconta Nicolai Lilin in Putin. L'ultimo zar (Piemme) - "'Siamo dei Putin', rispose Spiridon, rispettando la formula di dialogo proposta dal suo interlocutore. 'Putin, Putin, Putin...' ripeté pensieroso il santone. Poi mise una mano in tasca, ne estrasse una moneta d'oro e la prese tra le dita con delicatezza. 'Bravo Putin, ti benedico per la gloria di Dio nostro Signore e la Russia patria nostra!' disse Rasputin con voce potente, e alzatosi in piedi benedisse il ragazzo con il segno della croce: 'Vai con Dio, figlio mio'" (Guarda la presentazione).
Andarono davvero così le cose? Nessuno lo sa. Questa storia, però, è stata fatta circolare dallo stesso Vladimir Putin. Perché? Perché in essa c'è tutto: la benedizione e, quindi, la missione ultraterrena del presidente russo e, soprattutto, Rasputin, che è immagine della vera Russia e dell'uomo che si è fatto da sé. Proprio come Putin, ragazzo umile - figlio di un eroe di guerra che visse tutta la vita nella povertà - che però riuscì a riscattarsi, diventando lo zar.
Per capire però come tutto ciò avvenne dobbiamo fare un salto al 7 maggio del 2000. Quel giorno, come scrive Catherine Belton, autrice di Gli uomini di Putin. Come il Kgb si è ripreso la Russia e sta conquistando l'Occidente (La Nave di Teseo), il Cremlino brilla. "L'ex agente del Kgb che solo otto mesi prima era uno dei tanti burocrati senza volto stava per assumere l'incarico di presidente russo. L'oro che colava dalle pareti e dai candelabri testimoniava sia il piano del Kgb per la rinascita della Russia imperiale, sia i contratti machiavellici della Mabetex che avevano risuscitato il Cremlino portandolo ben oltre la sua grandeur pre-rivoluzionaria - e avevano contribuito a far salire Putin al potere".
Era da decenni che in Russia non si vedeva una luce simile. Per Eltsin questo era un successo amaro. Qualcosa di nuovo stava accadendo nel Paese: "La Russia è cambiata. E' cambiata perché l'abbiamo amata... e abbiamo difeso con forza il nostro risultato più importante: la libertà... Non abbiamo permesso che il paese cadesse nella dittatura".
Gli uomini del Kgb avevano bisogno di un volto nuovo per la Russia. E lo trovarono in Putin. Quando il nuovo presidente russo giurò, poteva contare sugli uomini dei servizi segreti che, inosservati e silenziosi, avevano già preso le redini del Paese. Tra tutti, quello che aveva un maggiore ascendente su Putin era Igor' Sečin, l'attuale amminstratore delegato di Rosnef: "Di otto anni più giovane di Putin, l'aveva seguito come un'ombra fin da quando era diventato vicesindaco. Aveva lavorato come suo segretario, stando come una sentinella dietro a una scrivania nel corridoio che portava all'ufficio di Putin nel quartier generale di Smolnij, pronto a bloccare chiunque".
Era lui a dirigere il traffico. A dire chi poteva e chi non poteva incontrare Putin. Gli rimase sempre accanto. In silenzio. Del resto il Kgb lo aveva scelto, giovanissimo, verso la fine degli anni Settanta e, come sottolinea la Belton, "gli fu chiesto di stilare rapporti sui suoi compagni". Lo fece con grande precisione. Sapeva tutto di tutti e venne premiato. Almeno in un primo momento. C'è un incontro tra i due che è rivelativo del loro vero rapporto: "Sečin invitò Putin nel proprio appartamento poco dopo il loro arrivo e glielo fece vedere, esibendo la vista su Mosca. Putin chiese quant'era grande l'appartamento e Sečin controllò sui documenti e gli rispose: 317 metri quadri. Putin sussultò: 'Io ne ho solo 286', disse. Si congratulò con Sečin, ma poi prese le distanze come se Sečin gi avesse rubato qualcosa o l'avesse cinicamente tradito".
Per Putin la fiducia è tutto. E, tra i pochi, è riuscito a trovarla nel patriarca Kirill. Del resto uno zar non può esistere senza una Chiesa. Come scrive Stefano Caprio in Lo zar di vetro (Jaca Book), "nel primo decennio putiniano il patriarca e i suoi gerarchi hanno colmato il vuoto lasciato dalla scomparsa del partito-guida leniniano, definendo le linee principali della politica statale (la ricostruzione della grandezza del Paese, l'economia assistenziale, l'indipendenza dai meccanismi internazionali) e dell'ideologia nazionale (l'ispirazione cristiana, la fedeltà alle tradizioni, l'unità del popolo con le autorità)". Tutto ciò di cui Putin aveva bisogno per costruire la nuova Russia.
Come è noto, il presidente russo raccontò di esser stato battezzato di nascosto da sua madre e che, ancora oggi, conserva quel ricordo nel cuore. Per Putin la Chiesa è certamente uno strumento di potere da tenere "al guinzaglio lungo", come scrive Caprio: "A una certa distanza da sé, abbastanza vicina per conferire al potere autocratico un'aura sufficientemente sacralizzata, ma non tanto da confondersi con i meccanismi veri e propri della gestione politica".
Nessuno sa
quali siano le molle che muovono l'azione di Putin. Come Rasputin è venuto dal nulla ed è arrivato al vertice del potere. Non è un santo e nemmeno un diavolo. Forse, nel bene e nel male, è l'immagine della Russia profonda.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.