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Nadia Murad sull’Isis: “Dobbiamo combattere la mentalità dell'odio”

La giovane irachena, un tempo tra le schiave sessuali dell’Isis, interviene al Doha Forum per denunciare le atrocità commesse dallo Stato islamico e racconta del lavaggio del cervello che è stato fatto al nipotino di soli 11 anni, trasformato in una macchina da guerra

Nadia Murad sull’Isis: “Dobbiamo combattere la mentalità dell'odio”

Intervenuta al Doha Forum (Qatar), l’attivista irachena Nadia Murad, insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2018, ha voluto raccontare alcuni degli orrori e delle atrocità commesse nella sua terra dai soldati dello Stato islamico.

La donna, di famiglia yazida, fu rapita nell’agosto del 2014 e tenuta in ostaggio dall’Isis, dopo aver visto massacrare alcuni suoi familiari e ridurre a ferro e fuoco il proprio paese. I jihadisti la torturarono e la costrinsero ad essere una delle molte schiave sessuali a loro disposizione.

Proprio in difesa delle vittime di abusi sessuali, Nadia ha attaccato la mentalità retrograda della sua terra d’origine, dove una donna che decide di denunciare uno stupro non riceve alcun aiuto ed è poi costretta a convivere con il biasimo della gente. Intanto, ha proseguito l’attivista, i responsabili delle atrocità commesse non sono stati ancora puniti a dovere dalla comunità internazionale, che non sta facendo abbastanza.

L’Isis è riuscito a seminare odio ovunque ed a mettere un uomo contro l’altro. I vicini di casa di Nadia, ha spiegato lei stessa, erano stati complici dei soldati islamici per un qualche loro interesse personale. Ma l’ombra dei jihadisti è stata in grado di spingersi anche oltre, fino a raggiungere la stessa famiglia della giovane.

Con commozione, la Premio Nobel ha infatti raccontato in che cosa è stato trasformato suo nipote. “Aveva solo 11 anni quando è stato sequestrato dai miliziani”, ha ricordato, come riportato su “Il Mattino”. “Lo hanno separato dai genitori e lo hanno trasformato in un combattente dell'Isis. Ho cercato di contattarlo, ma mi ha risposto che lui era sul giusto cammino, e mi ha minacciato di morte se avessi continuato a cercarlo”. Un bimbo trasformato in una macchina da guerra, come molti altri ragazzini sottratti alle loro madri.

Ben 3000 donne yazide sono state rapite dall’Isis insieme ai loro figli, e ad oggi di loro non ci sono ancora notizie. Un motivo in più per continuare a lottare. “Dobbiamo combattere la mentalità dell'odio”, ha affermato Nadia. Nonostante le atrocità subìte, la giovane ha confessato il suo sogno di poter tornare un giorno nella propria terra, nel Sinjar, dove aprire un salone di bellezza per tutte le donne yazide.

Un momento, tuttavia, ancora lontano, dato che la regione sopracitata è ancora vittima delle bande armate.

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