Il silenzio. È questo quello che circonda i tanti - troppi - nostri connazionali detenuti all’estero. Quasi 3500 italiani - secondo i numeri forniti dall’Annuario statistico pubblicato dalla Farnesina - sono incarcerati lontano dalla patrie galere. E molti sono ancora in attesa di giudizio.
Più di 2500 sono detenuti in Paesi dell’Unione europea, 161 nei Paesi extra Ue, poco meno di 500 nelle Americhe, 59 nella regione mediterranea e in Medio Oriente, 12 nell’Africa subsahariana e 75 in Asia e Oceania. La Germania è il Paese europeo che ne ospita di più. Secondo i dati rilasciati, infatti, nelle carceri tedesche ci sono circa 1200 italiani. Mentre nel mondo, il maggior numero di connazionali detenuti si trovano nelle spaventose carceri brasiliane.
C’è chi finisce in carcere per le proprie responsabilità. Ma c’è anche chi, invece, è vittima di un’ingiustizia. In ogni caso, innocenti o colpevoli che siano, dovrebbero avere diritto ad un giusto processo e ad una detenzione che rispetti al pieno i diritti umani. Purtroppo non sempre è così. In diversi Paesi del mondo, infatti, sono negati anche i più elementari diritti sanciti dalle convenzioni internazionali e molte volte l’assistenza di un avvocato o di un’interprete non è neanche presa in considerazione. Soprattutto nelle prime ore del fermo, quelle più importanti e delicate, dove molto spesso vengono fatti firmare dei documenti dal contenuto incomprensibile. E poi ci sono tutte quelle difficoltà dovute alla lontananza dalla propria terra e alla diversità culturale.
Le persone condannate, secondo la “Convenzione di Strasburgo” del 1983 e secondo diversi “Accordi bilaterali” siglati tra l’Italia e gli altri Stati, dovrebbero scontare la propria pena nei nostri penitenziari. Ma queste convenzioni non sempre vengono rispettate. E qui, dovrebbe entrare in gioco la nostra diplomazia. Una diplomazia che - purtroppo – non riesce sempre a far fronte in maniera adeguata a queste situazioni e, spesso, sembra non essere neanche in grado di porsi correttamente con gli altri Paesi in causa.
Molto probabilmente anche perché in Italia manca un concetto di “solidarietà nazionale”, cosa che, al contrario, è molto sentita in tanti altri Paesi. Un esempio concreto è quello dell’India con la vicenda dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Oppure quello degli Stati Uniti nella mobilitazione - non solo mediatica - per Amanda Knox, prima condannata per l’omicidio della giovane a Meridith Kercher a Perugia e poi liberata per non aver commesso il fatto.
Intanto, a queste mancanze dello Stato, cercano di rimediare
amici, familiari ed alcune associazioni. Anche attraverso l’aiuto dei social media. Con l’obiettivo di rompere quel muro di silenzio che avvolge le storie dei nostri connazionali e che sta diventando sempre più assordante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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