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Il nuovo red carpet dello Star System è un campo per rifugiati

Da George Cloney ad Angelina Jolie passando per i protagonisti del Trono di Spade, tutti in fila, dietro la cinepresa, a provocare le corde emotive del grande pubblico per raccogliere fondi (e gonfiare l'immagine). Tutta l'ipocrisia dei nuovi missionari

Il nuovo red carpet dello Star System è un campo per rifugiati

Se prima le “celebrities” dello Star System americano si accontentavano del red carpet adesso sono disposte a camminare nel fango tra i disgraziati per far parlare di sé. A patto che ci siano le telecamere ovviamente. E’ la parabola contemporanea di artisti, atleti e attori che scendono in campo costantemente non per spiegare agli spettatori le cause reali delle tragedie o per denunciare i veri responsabili, ma per vendere la sofferenza delle vittime ai donatori. Da George Cloney ad Angelina Jolie passando per i protagonisti del Trono di Spade, tutti in fila, dietro la cinepresa, a provocare le corde emotive del grande pubblico con tecniche sopraffine di marketing. Di recente l’IRC - International Rescue Committee, il comitato internazionale di soccorso che aiuta soprattutto donne e bambini - ha pensato di affidare il suo appello umanitario strappalacrime al cast di Game of Thrones, la serie tv tra le più popolari al mondo. In un incontro organizzato dallo stesso istituto in occasione del quinto anniversario della guerra in Siria, l’attore americano, George Clooney e sua moglie, Amal, hanno incontrato in questi giorni tre famiglie siriane a Berlino per farsi raccontare il loro vissuto. O ancora l’attrice Angelina Jolie, inviata speciale dell’Alto commissariato delle Nazioni per i rifugiati (Unhcr), che si è recata nei campi profughi siriani in Libano, uno dei Paesi più colpiti dalla diaspora, per solidarizzare con gli sfollati.

Dalle ville del Platinum Triangle (una delle aree più ricche e lussuose della Westside della Contea di Los Angeles, nella Southern California) alle baraccopoli. Il viaggio dei nuovi missionari è lungo ma la passerella dura pochi giorni. Il tempo di costruire la narrazione della miseria e sbatterla sulle prime pagine dei giornali e sui canali televisivi. Così l’umanitarismo si è trasformato in uno spettacolo macabro dove a fare da protagonisti sono i miserabili del terzo millennio: non le prostitute e i monelli di strada di Victor Hugo ma gli sfollati dei campi profughi sparsi ad ogni angolo del mondo. L’ipocrisia non uccide quanto un drone ma quasi. Altro che “celebrità” engagé, impegnate. Dov’erano tutti questi personaggi quando il Pentagono ordinava all’esercito americano di impiantare gli scarponi in Medio Oriente? Dov’erano quando nel nome dell’esportazione della democrazia venivano violati i diritti dei popoli? Dov’erano quando la carta stampata chiamava “pace” il caos?

Perché gli aiuti umanitari e la guerra sono due strategie contraddittorie ma perfettamente complementari. Si fa la guerra in nome dell’umanitarismo e si invoca il fine umanitario per giustificare la guerra. In fondo lo sponsor è lo stesso: le Nazioni Unite.

Sono le Nazioni Unite che finanziano buona parte delle ONG, sono sempre le Nazioni Unite ad approvare risoluzioni che legittimano gli interventi militari che vengono definiti guarda caso “umanitari”.

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