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Pagate per non lavorare. L'assegno a tre fortunate.

Una tantum di 1.600€: è il premio del bando per un progetto di "ozio ragionato".

Pagate per non lavorare. L'assegno a tre fortunate.

Berlino. Essere pagati per non fare nulla. Dimenticare il datore di lavoro ma pagare ugualmente affitto e bollette. Da oggi tre donne tedesche possono farlo. Sono le vincitrici di un assegno messo in palio dalla Hochschule für bildende Künste Hamburg (HBKH), l'Accademia di Belle Arti di Amburgo. L'idea è venuta in mente a Friedrich von Borries, architetto e insegnante di Teoria del design nell'istituto della città anseatica. Il bando da lui ideato non è uno scherzo, ha spiegato von Borries rivolto alla stampa, ma un esperimento per capovolgere una società strutturata intorno alle conquiste e ai risultati. Scardinando il meccanismo del lavoro quotidiano, si può invece immaginare una società che consuma meno energia, anche quella umana. Un ambiente in cui si possa guadagnare prestigio sociale non solo grazie alla propria professione ma anche sulla base tempo libero a disposizione per andare a nuotare con i propri figli. Ai candidati all'assegno una tantum da 1.600 euro è stato chiesto di produrre un rapporto sull'attività (o inattività) svolta. Quando ha illustrato la sua idea nell'agosto del 2020, l'accademico ha spiegato che mettersi sdraiati con i piedi in alto non basta: l'ozio va giustificato. Così, per partecipare all'estrazione di uno degli «Stipendien für Nichtstun», le borse per non fare nulla, i candidati hanno dovuto riempire un formulario approntato dalla HBKH. Tre domande, semplici e dirette: «Cos'è che non volete fare? Per quanto tempo volete non farlo? Perchè per voi è importante non fare proprio questo?». Appena il bando è stato lanciato la notizia di un assegno per non fare nulla erogato nell'opulenta Germania ha fatto rapidamente il giro del mondo. Nel giro di tre mesi sono arrivate alla HBKH 2900 domande da 70 paesi diversi.
Dopo lunga disamina, i giurati hanno scelto tre fortunelle tedesche ma la raccolta delle candidature dei quasi tremila candidati oziosi è entrata di diritto nell'allestimento della mostra «School of No Consequences. Exercises for a New Life», visitabile fino al 18 luglio presso l'HFBK.
La prima assegnista si chiama Hilistina Banze. Pedagoga, assistente sociale e consulente per l'integrazione della città di Amburgo, la 31enne Hilistina ha annunciato che per una settimana non indosserà il velo islamico che di solito porta sul capo, mostrando invece i capelli rasati a 3 millimenti «contrastando così diversi cliché di ruolo in una volta sola». La giuria si è detta a colpita dalla radicalità e dalla complessità dell'esperimento e «attende con ansia le esperienze di Hilistina Banze come donna, musulmana e femminista».
La seconda borsa è andata a Mia Hofner, 26enne studentessa di Design a Colonia. «Non voglio generare nessun dato utilizzabile e personale per due settimane». Questo significa niente uso dello smartphone, niente controllo delle e-mail, niente shopping online. La giuria ha trovato notevole la chiarezza con cui la giovane riflette sulle conseguenze delle sue azioni quotidiane e allo stesso tempo è consapevole di non poter sfuggire per sempre al trasferimento di dati digitali.
«Non voglio fare il mio lavoro» è stata la motivazione con cui ha vinto la terza borsa la 22enne Kimberley Vehoff. Specialista di tecnologia alimentare di Bad Fallingbostel, 60 km a nord di Han-nover, Kimberley «ha espresso un'insoddisfazione fondamentale per i vincoli economici e la pressione di rendimento nella società contemporanea». Nel premiare il suo «progetto» la giuria ha detto di aver trovato particolarmente convincente il fatto che le relazioni sociali di Kimberley soffrono a causa dell'alternanza di turni di lavoro, dalla mattina presto alla sera molto tardi per sei giorni la settimana mentre la giovane vorrebbe utilizzare la borsa di studio per rafforzare i suoi legami affettivi minacciati dalla sua professione.

Una menzione i giurati l'hanno concessa anche ad altri 14 aspiranti nullafacenti: fra questi un bambino di 9 anni che per senso di responsabilità ecologica non vuole più essere accompagnato a scuola da sua madre; un uomo che non vuole parlare per dieci giorni, ma vuole ascoltare gli altri con più attenzione; e un giornalista che vuole smettere di diffondere brutte notizie per quattro settimane.

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