Il piano economico di Trump

Un piano che al momento è un'incognita per l'economia americana e mondiale ma che, se realizzato in toto, imprimerebbe cambiamenti epocali e globali

Il piano economico di Trump

Taglio di venti punti dell'imposta sugli utili delle imprese, guerra commerciale alla Cina, ingenti investimenti infrastrutturali, sgravi fiscali per i redditi più bassi, drastica revisione della riforma bancaria Dodd-Frank e addirittura un ritorno alla Volcker Rule, che separava le attività di banca commerciale da quelle speculative. Questi i punti principali del programma economico del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump. Un piano che al momento è un'incognita per l'economia americana e mondiale ma che, se realizzato in toto, imprimerebbe cambiamenti epocali e globali. È però difficile prevedere come obiettivi così ambiziosi verranno realizzati in concreto e altrettanto difficile è escludere che, come su altri fronti, il Trump presidente possa rivelarsi più moderato e pragmatico del Trump candidato. In attesa di scoprire, tra poche settimane, come il nuovo inquilino che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio terrà il timone della maggiore economia mondiale, ecco i punti principali della "Trumpnomics" secondo quanto risulta dal programma elettorale e dalle dichiarazioni dello stesso Trump.

SCUDO FISCALE E MAXI SGRAVI PER LE IMPRESE

"Faremo un taglio delle tasse enorme e voi ne sarete felici, farete i vostri prodotti qui in America", aveva promesso Trump nella sua prima conversazione con Tim Cook, l'ad di Apple, l'azienda diventata il simbolo della delocalizzazione e dell'elusione fiscale che il tycoon intende combattere. Posto che sarebbe impossibile per ragioni strutturali trasferire in Usa la complessa catena di approvvigionamento della quale aziende come Apple godono in Cina, il taglio dell'imposta sugli utili delle imprese che Trump propone è in effetti impressionante: dall'attuale 35% al 15%. Per favorire il rientro dei capitali detenuti all'estero, sovente in paradisi fiscali, dalle grandi aziende Usa, in particolare i colossi della Silicon Valley, il presidente eletto propone inoltre uno scudo fiscale con un'aliquota del 10%.

DA SETTE A TRE ALIQUOTE FISCALI

Per le persone fisiche, Trump propone una semplificazione del sistema di aliquote dell'imposta sul reddito, portandole dalle attuali sette (che vanno dal 10% al 39,6%) a tre: 12% sotto i 75 mila dollari di reddito annuo, 25% tra i 75 mila e i 225 mila dollari, 33% sopra i 225 mila dollari. Verrebbe poi stabilita una 'no tax areà per i redditi più bassi. Previste infine deduzioni per chi ha figli sotto i 13 anni o assiste un familiare anziano non autonomo.

USA FUORI DAL TPP E PUGNO DURO CONTRO LA CINA

Il cuore dello slogan 'America First' è il rilancio della produzione manifatturiera sul suolo nazionale, obiettivo che Trump intende raggiungere al prezzo di misure protezioniste. In primo luogo il presidente eletto chiede l'uscita dagli Usa dal Tpp, l'accordo di libero scambio con i Paesi dell'area del Pacifico (come Giappone, Sud Corea e Cile) e una radicale riforma del Nafta, il patto stretto invece con Canada e Messico. Non c'è quindi più alcuna speranza per il 'Ttip', il trattato di libero scambio che l'amministrazione Obama aveva tentato di chiudere con la Ue, considerando anche quanto poco popolare fosse tra gli stessi governi europei. Per quanto riguarda l'annunciata "guerra commerciale" con la Cina, Trump ha affermato che intende portare Pechino di fronte alla Wto e alle autorità Usa per le sue politiche di sussidi, che definisce "illegali", imporre dazi sulle importazioni cinesi e chiedere al Tesoro di considerare la Cina "manipolatrice di valuta", con tutte le conseguenze del caso. Gli effetti di un pugno così duro, che innescherebbe inevitabilmente una reazione, sarebbero però esplosivi ed è quindi plausibile che su questo punto il presidente sia costretto a una parziale marcia indietro.

STOP AL TURNOVER NELLA P.A. E LOTTA ALLA BUROCRAZIA

In sintesi, Trump intende ridurre le tasse e aumentare gli investimenti pubblici. Ciò significa che da qualche parte dovrà tagliare. Sotto la scure finirà la pubblica amministrazione, della quale il presidente eletto intende ridurre il personale con un blocco del turnover che risparmierebbe solo difesa, pubblica sicurezza e sanità. Trump intende inoltre snellire la burocrazia eliminando un gran numero di norme che ritiene superflue e dannose per l'occupazione. Si preannunciano pessime notizie per gli ambientalisti: nel mirino ci sono infatti la 'Waters of the U.S. Rulè e il 'Clean Power Plan', che disciplinano la gestione sostenibilie delle risorse idriche e le emissioni nella produzione di elettricità.

PIU' INFRASTRUTTURE, COMPRESA LA KEYSTONE PIPELINE

Negli ultimi tempi Keynes sembra davvero tornato di moda. Il grande volano della 'Trumpnomics' sarà infatti l'investimento in infrastrutture, da ristrutturare e ricostruire con materie prime 'made in Usà, si capisce (Trump intende rilanciare in particolare l'edilizia e l'industria siderurgica). Il presidente eletto promette sostanziali interventi su autostrade, ferrovie, rete elettrica e rete idrica. Fin qui il programma di Trump non è diversissimo da quello che era stato il programma di Obama. A cambiare saranno però le priorità. Trump intende infatti rilanciare il controverso progetto di ampliamento della Keystone Pipeline (oleodotto che collega Canada e Usa), arenatosi sotto l'amministrazione Obama anche per preoccupazioni di carattere ambientale.

INDIPENDENZA ENERGETICA E RITORNO AL CARBONE

Proprio la politica energetica è uno dei punti sui quali l'agenda di Trump e quella di Obama non differiscono poi tanto, salvo la maggiore disinvoltura del primo riguardo alle tematiche ambientali. Sia per il presidente eletto che per quello uscente la priorità e garantire l'indipendenza energetica degli Usa attraverso lo sfruttamento delle risorse di idrocarburi nazionali, in particolare shale gas e shale oil. Il miliardario newyorchese intende però "eliminare tutte le barriere alla produzione responsabile di energia" pur assicurando che le emissioni verranno limitate dal forte ricorso al gas naturale. Oltre allo sfruttamento delle riserve Usa, che secondo Trump valgono 50 mila miliardi di dollari, verrebbe dato nuovo impulso al 'carbone pulitò. Ciò richiederebbe però nuovi investimenti in tecnologie come il 'carbon capture and storagè, che negli ultimi anni sono state progressivamente accantonate per l'utilizzo sempre minore di tale carburante.

BANCHE, IL RITORNO DEL GLASS-STEAGALL ACT

Il contributo più positivo che Trump potrebbe dare all'economia mondiale è anche quello più difficile da realizzare: l'annunciato ritorno in vigore del Glass-Steagall Act, la norma, varata dopo il crollo di Wall Street del '29, che impediva allo stesso intermediario di svolgere contemporaneamente l'attività di banca commerciale e quella di banca d'affari. L'abrogazione di tale norma, decisa dal 1999 dalla seconda amministrazione Clinton, fu la miccia che fece esplodere la devastante crisi dei mutui subprime, rendendo molto più stretti i legami tra speculazione finanziaria ed economia reale. La resurrezione della cosiddetta 'Volcker Rulè (dal nome del'ex presidente della Fed, Paul Volcker), che impedirebbe alle banche di utilizzare i soldi dei risparmiatori per speculare sui derivati, era stato un obiettivo anche dell'ambiziosa riforma Dodd-Frank varata da Obama dopo il terremoto innescato dal crac di Lehman Brothers. Uno dei tanti punti incompiuti della Dodd-Frank, il cui cammino parlamentare fu un autentico calvario, tra l'ostruzionismo bipartisan del Congresso e il frenetico lobbying di Wall Street. Nondimeno, Trump intende eliminare molti dei vincoli previsti dalla Dodd-Frank per deregolamentare l'attività delle piccole 'community bank'. Il timore del magnate è che si crei un'eccessiva concentrazione "come in molti Paesi europei".

"25 MILIONI DI POSTI DI LAVORO"

Secondo il presidente eletto, la 'Trumpnomics' porterà l'economia americana a crescere del 3,5% all'anno, un tasso che consentirebbe di creare 25 milioni di posti di lavoro in 10 anni.

Va sottolineato che, se i numeri del mercato del lavoro Usa sono decisamente invidiabili per la maggior parte dei Paesi europei, dietro a quel tasso di disoccupazione al 4,6% si nasconde una partecipazione alla forza lavoro scesa sotto il 63%, ai minimi dalla fine degli anni '70 (ma, dati alla mano, non dal 1970 come sostiene Trump) e un numero di "scoraggiati" che ha ripreso a crescere.

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