Mondo

Prison Inside Me: la prigione coreana dove si rifugiano volontariamente le persone stressate

In Corea del Sud il nuovo trend per prendersi una pausa dal mondo è rinchiudersi in una finta prigione per una settimana, lontano da tutti, isolati e senza possibilità di essere contattati. Una vera manna contro lo stress da lavoro.

Prison Inside Me: la prigione coreana dove si rifugiano volontariamente le persone stressate

Nella Contea di Hongcheon, a circa due ore da Seoul, c'è una prigione molto particolare nella quale le persone (di entrambi i sessi) decidono volontariamente di farsi rinchiudere per un periodo che va da ventiquattro ore a una o più settimane. Si chiama Prison Inside Me e in realtà si tratta di un finto carcere, una specie di ostello lugubre nascosto tra le montagne della provincia sudcoreana del Gangwon.

Nato da un'idea di Kwon Yong-seok (ex procuratore e lavoratore compulsivo pentito) e di sua moglie Noh Jihyang, la Prigione Dentro Me rappresenta paradossalmente un luogo di detenzione che aiuta a fuggire e a liberarsi. I clienti che optano per questo soggiorno forzato sono cittadini di ogni rango sociale, gente comune, semplici impiegati, dottori, avvocati, dirigenti, funzionari che hanno una sola cosa in comune: l'estremo stress dovuto all'eccessivo lavoro, alla sfiancante routine, alla vita frenetica.

Questo luogo silenzioso e calmo dona pace e solitudine a tutti quelli che vogliono prendersi una pausa dalla loro vita e si differenzia da qualunque altro posto nel quale andare a rilassarsi perché qui non si è reperibili e al tempo stesso non si può contattare nessuno. Vietati cellulari, televisori e ogni strumento tecnologico in grado di connettere i detenuti al mondo civile moderno là fuori. Nell'istituto penitenziario volontario di Hongcheon si fa tanta auto-riflessione, si cerca di rallentare, si cerca di cambiare; in cella gli ospiti piangono, riposano, si purificano da quello smog esistenziale che hanno respirato per anni e che ha fatto crollare i loro nervi.

Le celle e il regolamento

Secondo il ferreo regolamento carcerario, la persona "da trattenere" deve innanzitutto consegnare il proprio cellulare e ogni altro effetto personale, deve togliersi i vestiti e indossare l'uniforme comune a tutti. Al nuovo ospite viene poi assegnata una delle 28 celle a disposizione, ognuna delle quali misura circa 6 metri quadrati. All'interno di questa angusta stanzetta dall'arredamento a dir poco spartano (come è logico che sia) c'è solo una stuoia da yoga che funge da letto, un bollitore elettrico, un tavolino su cui sono appoggiati una penna e un taccuino, un minuscolo lavandino e un catino nell'angolo dove espletare i bisogni corporali. Non ci sono orologi o specchi. Bandita ogni forma di comunicazione tra i detenuti, che trascorrono i giorni della loro permanenza in regime di completo isolamento, tranne le ore in cui partecipano ai corsi di meditazione di gruppo. I sorveglianti consegnano i pasti giornalieri attraverso una fessura ai piedi della porta; la dieta prevede patate dolci al vapore, verdure sotto aceto, banane frullate e porridge di riso.

Dopo aver scontato la loro pena volontaria, i detenuti prima di lasciare la prigione ricevono un simbolico certificato di libertà vigilata.

Il Paese più stressato di tutta l'Asia

Il cittadino medio dell'odierna Corea del Sud è una persona estremamente stressata, letteralmente consumata, divorata dalla propria professione a cui si dedica quasi maniacalmente anche per 15 ore al giorno e per sette giorni a settimana. La media nazionale delle ore trascorse sul posto di lavoro è tra le più alte (e preoccupanti) al mondo anche perché è un Paese in crescita e con uno spiccato senso della competizione che viene inculcato ai giovani già nelle scuole, dove primeggiare è motivo di orgoglio personale. Ma tutto questo se da una parte spinge la Corea del Sud a crescere commercialmente ed economicamente dall'altra genera malcontento, disagio, depressione, crisi di panico, problemi fisici e psichici che spesso spingono le persone anche a suicidarsi. L'angosciante situazione ha creato un tale allarmismo da far sì che intervenisse il Governo che con un decreto, al fine di migliorare l'equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, ha ridotto le ore di lavoro settimanali, quelle stesse ore che il ministro della Parità di Genere ha definito "inumanamente lunghe". Il Presidente Moon Jae-in in persona si è espresso sull'argomento, ritenendo giusto concedere a tutti i coreani quello che egli chiama "un diritto al riposo".

Tutti quelli che hanno provato l'esperienza carceraria volontaria a Hongcheon (già diverse migliaia) hanno compreso e ammesso, una volta fuori dai cancelli detentivi, che la vera prigione è il mondo esterno, la routine, è quello il carcere da cui provare ad evadere di tanto in tanto.

Commenti