Mondo

La protesta razziale dilaga. E nel mirino finisce Obama

Gli scontri si estendono alla California. I leader neri accusano il primo presidente nero: "Non prende di petto la questione"

La protesta razziale dilaga. E nel mirino finisce Obama

Dure critiche alla polizia, ma nessun riferimento diretto alla questione razziale: Barack Obama è il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti, ma finisce nell'occhio del ciclone proprio per non aver affrontato con sufficiente fermezza il caso dell'uccisione di un ragazzo di colore da parte delle forze dell'ordine a Ferguson, in Missouri. Nel sobborgo di St. Louis, dove nella notte tra venerdì e sabato scorso l'agente Darren Wilson ha sparato al diciottenne afroamericano Michael Brown, uccidendolo, il bilancio degli scontri è di un ferito in condizioni critiche e sette arresti.

Gli episodi più gravi si sono verificati nella notte di sabato, quando circa duecento persone hanno violato il coprifuoco imposto dalle autorità da mezzanotte alle cinque del mattino. Secondo quanto dichiarato ai media statunitensi dal responsabile della Missouri Highway Patrol, capitano Ron Johnson, i manifestanti hanno rifiutato di rientrare nelle loro case, e sono stati usati dei lacrimogeni dopo l'esplosione di colpi di arma da fuoco contro un'auto della polizia. È un clima tesissimo quello che si respira a Ferguson, tanto che il governatore dello Stato, Jay Nixon, ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza. A scatenare la rabbia dei manifestanti è stato l'atteggiamento eccessivamente repressivo da parte delle forze dell'ordine, le quali per diversi giorni si sono rifiutate di far sapere il nome dell'agente che ha ucciso il diciottenne, sospettato del furto di una scatola di sigari. La dinamica dell'accaduto rimane poco chiara, e se le autorità riferiscono di una presunta colluttazione tra Brown e l'agente, alcuni testimoni raccontano invece che Michael, disarmato, ha alzato le mani in segno di resa.

Nel frattempo Obama finisce al centro delle critiche, in particolare da parte dei leader attivisti afroamericani, i quali si chiedono se il primo presidente di colore degli Stati Uniti stia facendo abbastanza per affrontare la questione razziale. E vogliono che nei suoi discorsi non si limiti a biasimare la polizia, ma sottolinei il collegamento tra la morte di Brown e la brutalità delle forze dell'ordine nei confronti dei neri. Obama giovedì scorso ha lanciato un appello alla calma, chiedendo che l'inchiesta sia aperta e trasparente, ma soprattutto criticando la polizia per l'uso eccessivo della forza.

«Non ci sono scuse per l'uso eccessivo della forza contro manifestanti pacifici, e per mettere in carcere chi protesta esercitando legalmente il Primo Emendamento (quello sulla libertà di espressione) - ha affermato - Negli Usa la polizia non dovrebbe usare la prepotenza o arrestare giornalisti che stanno cercando di fare il proprio lavoro». Per gli afroamericani, però, non è abbastanza: in molti si sono detti delusi dall'atteggiamento troppo prudente di Obama, sottolineando come l'inquilino della Casa Bianca spesso ha paura di parlare chiaramente quando si verificano episodi che danneggiano le persone di colore. E in piazza per protestare contro la morte di Brown, a Ferguson, è sceso anche il co-fondatore di Twitter Jack Dorsey, nativo di St. Louis ed esponente di quell'industria hi-tech della quale fanno parte i grandi elettori di Obama. Il dibattito su come il Commander in Chief Usa dovrebbe affrontare la questione razziale è in realtà di lungo corso. Da un lato infatti è stato proprio l'attuale presidente a decidere di nominare il primo ministro della giustizia nero, Eric Holder, e a caldeggiare modifiche al sistema penale per ridurre l'enorme numero di afroamericani soggetti a lunghi periodi di detenzione per reati legati alla droga.

Ma dall'altro, a parere dei critici, soprattutto nel corso del primo mandato, Obama non ha affrontato nel modo adatto le discriminazioni a cui sono ancora soggetti i cittadini di colore.

Commenti