Quelle strabiche sanzioni Usa

A Obama fa comodo chiudere gli occhi sulla Cina. Quel “bandito” controlla il suo conto in banca

Quelle strabiche sanzioni Usa

Le sanzioni logorano chi le fa. Ne sa qualcosa il premier Matteo Renzi, che in un'intervista televisiva negli Usa ha auspicato la rapida revoca dell'embargo contro la Russia. Il suo non è un parere isolato: in molte, anche se non in tutte, cancellerie europee si attende con impazienza il prossimo incontro fra leader e ambasciatori dell'Unione per rimettere mano alle misure restrittive che penalizzano in primo luogo il Vecchio Continente. Come andrà a finire? Ad ascoltare le parole del presidente ucraino Petro Poroshenko la strada sembrerebbe in discesa. «Il momento peggiore della guerra è passato - ha detto -. La pace non è lontana». Ma non abbiamo fatto i conti con Barack Obama e con gli obiettivi strategici, e non solo, che si è prefissato. La sua divina missione di rimettere in riga la Russia, “fastidioso” competitor sul mercato europeo, non ci lascia ben sperare. E i continui proclami che arrivano da oltreoceano contro il «tiranno» Putin e il rinato imperialismo russo ne sono la conferma: diritti umani violati, minaccia militare, democrazia illiberale eccetera. Come se avessimo ancora di fronte l'Unione sovietica di Stalin. Ma, per quanti difetti possa avere la Russia, il paragone non sta in piedi. Se queste accuse dovessero essere rivolte a qualcuno, allora bisognerebbe volgere lo sguardo più a oriente. Dove, guarda caso, c'è la Cina. Qui i diritti umani sono ancora un optional. Qualcuno ha scordato la repressione in Tibet? Dal 1950, anno dell'occupazione militare cinese, le libertà sono un sogno soffocato nel sangue ciclicamente. Ultima e definitiva la campagna “colpisci duro” del 1996, con la «rieducazione patriottica» dei tibetani, costretti a disconoscere ancora oggi il Dalai Lama. E che dire delle persecuzioni della minoranza degli uighuri e della Chiesa cattolica? Uccisioni, arresti arbitrari e soprusi sono all'ordine del giorno. E le gravi tensioni, a rischio conflitto, scoppiate per i territori contesi con il Giappone e il Vietnam? E poi la concorrenza scorretta, la contraffazione di prodotti, l'infischiarsene apertamente degli accordi internazionali sull'inquinamento. Una lista senza fine.

Ma nessuno si meraviglia, la Cina è un paese comunista. E allora come mai mister Obama non la rimette in riga? Perché al “poliziotto del mondo” fa comodo chiudere gli occhi: quel “bandito” controlla il suo conto in banca.

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