L’incubo della crisi economica aleggia sulla campagna elettorale per il referendum scozzese. Mentre gli indipendentisti hanno schierato un esercito di volontari per convincere gli indecisi nell’ultimo fine settimana prima del voto di giovedì, le stime allarmanti degli analisti di CrossBorder Capital e Deutsche Bank parlano di fuga di capitali dalla Gran Bretagna: non più milioni ma ora miliardi di sterline, e perfino una "depressione" per la Scozia (e forse anche il Regno Unito) se dovesse scegliere la via dell’indipendenza. E i rischi in ambito economico paventati da giorni sembrano far presa sull’elettorato.
"Spero che la gente penserà con molta attenzione al futuro", ha detto la regina Elisabetta alla folla di fronte alla chiesa di Crathie Kirk, non lontano dalla tenuta reale di Balmoral in Scozia, dopo la consueta funzione domenicale a cui partecipa la sovrana. Si tratterebbe della prima dichiarazione sul referendum scozzese fatta dalla regina. Nei giorni scorsi Buckingham Palace aveva ribadito la neutralità della monarchia sul voto, anche se i dati degli economisti sono davvero preoccupanti. Nel solo mese di agosto c’è stata una fuga di capitali dal Regno Unito pari a 16,8 miliardi di sterline, il dato peggiore dal collasso di Lehman Brothers. Dato che è destinato ad aggravarsi con la possibilità di una secessione. Mentre uno studio di Deutsche Bank afferma che l’indipendenza sarebbe un errore storico per la Scozia, come quelli che portarono alla Grande Depressione negli anni Trenta. Se questo non basta, si allunga la lista dei gruppi di retail britannici, dei settori più diversi, che lanciano un appello contro l’indipendenza della Scozia per il rischio di un rialzo dei prezzi a nord del confine. Le catene Marks & Spencer, B&Q e Timpson hanno sottolineato che dovranno sostenere costi più alti per operare in un altro Paese e con una moneta separata, che non si sa ancora quale sarà. Il rialzo dei prezzi potrebbe riguardare ogni bene, dal cibo ai servizi telefonici, per gli elevati costi di roaming, ai mutui, alla posta fino all’energia. Secondo un rapporto del governo di Londra, gli scozzesi dovranno pagare 189 sterline l’anno in più per le loro bollette in caso di secessione. Ma il primo ministro scozzese, Alex Salmond, non ci sta e contrattacca, denunciando ancora una volta il clima di "bullismo" orchestrato da Londra.
Su una cosa concordano gli esperti britannici: gli ultimi sondaggi sul referendum scozzese pubblicati oggi dai domenicali non permettono di fare previsioni. In una rilevazione per l’Observer gli unionisti sono al 53%, mentre i secessionisti al 47%, se si escludono gli indecisi. In quella del Sunday Times la differenza fra i due schieramenti è minima: il "no" è al 50,6% mentre il ’si« al 49,4. In quella del Sunday Telegraph, invece, i secessionisti sono al 54% mentre gli unionisti al 46%. "Non è facile fare previsioni, abbiamo assistito a spostamenti drastici dei consensi da una parte all’altra", ha detto Martin Boon, a capo dell’istituto di rilevazione Icm Research. Per John Curtice della University of Strathclyde, la sfida fra i "sì" e i "no" si giocherà fino all’ultimo voto. Intanto è "caccia" agli indecisi in Scozia. Vengono stimati in 500mila e il loro voto è determinante a fronte di sondaggi in cui i due schieramenti sono testa a testa. I secessionisti hanno messo in campo un "esercito" di 35mila volontari nelle vie delle città scozzesi.
Mentre la campagna "Better Together" è pronta allo sforzo finale per cercare la vittoria. "Sappiamo che se lavoreremo duro nei prossimi giorni - ha detto il capo della campagna, Blair Jenkins - riusciremo a conquistare la maggioranza".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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