«Accostate immediatamente la macchina e tenete le mani sul volante»: quante volte nei film americani si è sentita una frase del genere pronunciata da poliziotti di pattuglia. Questa però non è solo una scena tratta da una pellicola hollywoodiana, ma quanto accade ogni giorno sulle strade degli Stati Uniti.
Negli Usa, infatti, le procedure delle forze dell'ordine per il fermo delle vetture impongono passaggi ben precisi: l'intimazione all'automobilista di accostare l'auto, non scendere dall'abitacolo, e tenere le mani immobili sul volante. Elementi precauzionali del tutto sconosciuti in Italia, che tuttavia riflettono una realtà profondamente diversa. La civilissima America è il Paese dove armi da fuoco di ogni genere e modello si possono reperire con estrema facilità, ed è il luogo dove la potentissima lobby che ne rappresenta i produttori, ma anche una larga fetta dell'opinione pubblica e degli ambienti politici, ha fatto infrangere la crociata del presidente Barack Obama per porre un freno alla vendita selvaggia di pistole e fucili. Anche gli agenti della polizia molto spesso non esitano ad estrarre il revolver dalla fondina. Negli Usa c'è una precauzionalità molto più diffusa che altrove, che a volte rischia però di sconfinare nel pregiudizio. In circostanze ambigue può bastare una mano in tasca per fare aprire il fuoco, ma in taluni casi non è chiaro se gli agenti hanno davvero motivo di sentirsi in pericolo, o se sia l'elemento razziale a trasformare un individuo in un sospettato.
Così potrebbe essere successo al diciottenne nero Michael Brown, crivellato con sei colpi di pistola, di cui due alla testa, a Ferguson, in Missouri. Le indagini dovranno stabilire se sulla dinamica della sparatoria hanno ragione i colleghi dell'agente che ha aperto il fuoco, secondo cui il giovane lo aveva aggredito, oppure altri testimoni per i quali Michael, disarmato, ha alzato le mani in segno di resa. Il caso di Brown riporta alla mente quanto accaduto al teenager afroamericano Trayvon Martin, ucciso in Florida nel febbraio del 2012. Oppure, sempre nel 2012, quando la centralissima Times Square, a New York, è stata trasformata in un farwest: un uomo, fermato per un controllo anti-droga, ha estratto un coltello, e gli agenti non hanno esitato a sparare, freddandolo in pieno giorno.
E proprio nella Grande Mela, il Dipartimento di polizia (Nypd) è finito il mese scorso nel mirino per l'uso eccessivo della forza. A scatenare le ultime polemiche è stata la morte di Eric Garner, un afroamericano di 43 anni, venditore ambulante di sigarette di contrabbando, deceduto dopo che alcuni agenti hanno cercato di arrestarlo a Staten Island. I poliziotti hanno usato la pratica del «chokehold», la presa al collo, oggi bandita dal Nypd, e l'uomo ha avuto un arresto cardiaco nel corso dell'operazione.
Dopo l'accaduto, il commissario William Bratton ha annunciato di aver ordinato una revisione radicale delle tecniche usate dagli agenti, inviando anche una squadra ad assistere ai corsi di addestramento della polizia di Los Angeles, dove è in vigore un programma per aumentare il controllo degli incidenti prediligendo la moderazione ad un eccessivo uso della forza.
Uno dei cambiamenti di cui si sta discutendo riguarda per esempio l'uso delle pistole Taser, il cui utilizzo e' controverso soprattutto a causa del rischio che possono rappresentare per le persone con problemi cardiaci.
D'altra parte, però, equipaggiare un maggiore numero di agenti con i Taser potrebbe evitare il contatto diretto e limitare le lesioni gravi o mortali.E la mano dura della polizia ha anche spinto il sindaco Bill de Blasio a rivedere la pratica dello «stop and frisk», la perquisizione indiscriminata durante i normali controlli per strada.
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