"In Russia 600mila profughi ma al mondo non interessa"

Il governatore di Rostov, regione al confine con l'Ucraina: "Non vogliamo invadere nessuno, i loro problemi non ci riguardano. Qui una catastrofe umanitaria dimenticata"

Foto di Gabriele Lagonigro
Foto di Gabriele Lagonigro

«È una catastrofe umanitaria nell'indifferenza della comunità internazionale» tuona Vassily Golubev, governatore della regione russa di Rostov, dove «negli ultimi due mesi si sono riversati 600mila profughi» dalla guerra nella vicina Ucraina. Da queste parti scorre il Don, cimitero di migliaia d'italiani nel secondo conflitto mondiale. Oggi la guerra è tornata alle porte, nel Donbass, dove l'esercito ucraino sta schiacciando a cannonate la ribellione separatista e provocando un esodo che non attrae l'attenzione dei media.

Cinquantasette anni, moderato, pragmatico, Golubev appartiene al partito di governo Russia Unita e ha un ottimo rapporto con il presidente Vladimir Putin. Sulle ultime notizie del convoglio umanitario russo alla frontiera e colonne di blindati bombardate dall'artiglieria, che secondo Kiev sarebbero entrate in Ucraina, non ha dubbi. «Sono stupidità senza senso. Quali truppe decimate se i soldati russi non hanno varcato il confine? Il convoglio trasporta solo aiuti umanitari e spero che riesca a passare».

Governatore, quanti sono fino ad ora i profughi ucraini scappati in Russia?

«Dall'inizio dell'anno 940mila persone hanno varcato il confine nella nostra regione e di queste ben 600mila negli ultimi due mesi. Non tutti si fermano a Rostov, ce ne sono molti che hanno parenti sparsi per la Russia. L'impegno per le nostre strutture, che ospitano 52 mila rifugiati, è gravoso. Per fortuna c'è la grande solidarietà della popolazione».

Aiuti internazionali per i profughi sono arrivati?

«Non abbiamo ricevuto niente da nessuno. Nemmeno la Croce Rossa internazionale ci sta dando una mano. A Rostov hanno raccolto 64 milioni di rubli di beneficenza (quasi 1 milione e mezzo di euro, n.d.r.), e di questi ne sono stati spesi solo 10… Perché?»

I rifugiati del Donbass ucraino sono profughi di serie B rispetto a quelli di Gaza o dell'Iraq?

«Credo proprio di sì. La geopolitica, i rapporti internazionali influiscono, purtroppo, sui destini della povera gente. Pochi raccontano che nelle nostre strutture sono ospitati più di 16mila bambini o che decine di neonati hanno visto la luce sotto le tende».

Ucraina, Europa e Stati Uniti sostengono che nella regione di Rostov sono posizionati 45 mila militari russi. Siete pronti ad invadere i vostri vicini?

«Il presidente Putin è stato chiaro: le forze russe vicine alla frontiera sono qui per difendere la sovranità del nostro territorio. E comunque i numeri sono esagerati, si tratta della solita propaganda. Io stesso ho chiesto al Ministero degli Interni di allestire degli avamposti militari vicino a Rostov per difendere la nostra gente nel caso in cui dovessero verificarsi combattimenti sul confine».

Non interverrete direttamente in Ucraina, quindi?

«No, è un'opzione da scartare. Ciò che sta succedendo nel Donbass è un problema del popolo ucraino, non nostro».

Rimarrete fermi anche se le milizie filorusse perdessero Donetsk e Lugansk, le loro roccheforti?

«In questa guerra non ci saranno né vincitori né vinti. Se le due città del Donbass dovessero cadere non sarà una sconfitta dei miliziani, ma della popolazione civile. E la pace, anche a conflitto terminato, rimarrà fragile, ci vorranno diverse generazioni per tornare alla vita di prima».

Ci sono volontari dal vostro Paese

che combattono nel Donbass?

«Ce ne sono da tutto il mondo, non solo dalla Russia. Ma il governo nazionale e tantomeno quello regionale non si occupano certo di reclutarli. Aiutiamo i civili in fuga, nient'altro».

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