Da Damasco – La prima parte di Viaggio al termine della notte (1932) di Louis-Ferdinand Céline non va letto come un romanzo ma come il carnet de voyage di un giovane reporter che coglie le sofferenze, le manipolazioni, le imposture e le angosce di una società civile assalita dalla guerra. Attraverso il protagonista Bardamu, un giovane che come tanti altri si è arruolato ed è tornato a Parigi a causa delle ferite riportate, lo scrittore francese descrive la vita quotidiana della grande metropoli. Mentre sul fronte si consuma la guerra, nella capitale la borghesia fa ottimi affari. “Mentir, baiser, mourir”. “Mentire, scopare, morire” scrive brutalmente Céline per descrivere le sensazioni di un ragazzo tradito dai suoi superiori: “Per essere ben visti e considerati, bisognò sbrigarsi alla svelta a diventare buoni amici dei borghesi perché quelli, nelle retrovie, man mano che la guerra andava avanti diventavano sempre più viziosi. L’ho capito subito tornando a Parigi e anche che le loro donne avevano il fuoco al culo, e i vecchi delle fauci grosse così, e le mani dappertutto, sui culi, nelle tasche”. Il capolavoro celiniano mette a nudo l’impostura della guerra voluta da un’élite che attraverso grandi discorsi esorta le nuove generazioni a morire per la République: “Ve lo dico io, gentucola, coglioni della vita, […] quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia...” avvertiva spietato. Alcuni hanno definito Louis Ferdinand Céline “il medico dei poveri” ma qui, in questo passaggio del romanzo, assomiglia più ad uno psicologo della guerra.
Per capire il clima che avvolge la Siria e la “questione del consenso popolare”, Viaggio al termine della notte va tenuto accanto al libro Il Leone di Damasco di Patrick Seale, giornalista irlandese e biografo occidentale di Hafez Al Assad. Perché malgrado una guerra che dura da quattro anni e l’aperta ostilità di tutti i Paesi occidentali - i quali hanno interrotto i rapporti diplomatici nel 2011-2012 – c’è da chiedersi quali sono le ragioni che hanno fatto restare il popolo unito intorno al governo di Bashar al Assad (eletto al terzo anno di conflitto con l’88 per cento dei voti). Poche defezioni nell’esercito, nessun tradimento da parte di ufficiali e ministri, ma soprattutto coesione sociale tra le classi grazie al ruolo assunto principalmente dalla media e alta borghesia di Damasco (l’altissima borghesia siriana invece, arricchitasi per un quarantennio sulle spalle del partito Baath, è in parte fuggita in Europa o in Paesi vicini come Libano, Giordania o Turchia, gettando, per convenienza, fango sui propri compatrioti). E qui ritorna il rapporto tra Céline e la Grande Guerra.
Mentre i soldati operano in una dimensione di hard power (combattimenti sul fronte, sicurezza dei cittadini, ecc.), la società civile (rimasta fedele allo Stato siriano), lavora incessantemente nelle “comode” retrovie organizzando conferenze, tavole rotonde, incontri politici e culturali aperti agli stranieri e non che mirano ad aggirare l’isolamento e la demonizzazione mediatica internazionale (soft power). Ognuno di questi eventi pubblici o a porte chiuse è accompagnato dall’inno nazionale siriano e un minuto di silenzio per i caduti in guerra che qui vengono chiamati “martiri” e celebrati in continuazione da messe, cortei, documentari televisivi, fotografie disseminate ovunque nella città. Poi tra i relatori viene spesso invitato un soldato mutilato, accolto da un’ovazione, che racconta la sua storia personale al fronte.
Inoltre accanto a questi incontri, non mancano le campagne di solidarietà e raccolta fondi organizzate dalla borghesia siriana e destinate alle famiglie che hanno perso i propri figli nei combattimenti attraverso le varie fondazioni, come ad esempio quella governativa “dei martiri”. Ognuno - medici, avvocati, liberi professionisti, commercianti, studenti, impiegati - offre come può il proprio contributo, diverso dal sangue, ma ugualmente utile per combattere una guerra devastante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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