Il corpo femminile è diventato un campo di battaglia del terrorismo, un luogo di scontro ideologico, un conflitto di religioni. Lady al Qaida, la neuro scienziata laureata al Mit di Boston, misteriosa pasionaria del nuovo califfato islamico, terrorista a 360 gradi, detenuta negli Stati Uniti, è l'insopprimibile oggetto dei desideri dei jihadisti. L'Isis è tornato a chiedere la sua liberazione in cambio di una donna americana che tiene in ostaggio, e prima ancora, la sua scarcerazione era stata pretesa come condizione del rilascio di James Foley, il giornalista poi decapitato.
Il suo nome (Aafia Siddiqui, 42 anni) non compare per la prima volta nella lista dei prigionieri che i terroristi islamici vorrebbero scambiare, infatti è da anni in cima all'elenco most wanted dei servizi americani. Ma se il suo pedigree della sovversione è indiscutibilmente il più titolato, sta cercando di fare del proprio meglio per non perdere contatto con il vertice la fanatica islamica inglese che dichiara a chiunque l'avvicini di voler essere la prima sgozzatrice femmina di un infedele occidentale, e c'è da credere che appena le capiterà l'occasione non se la lascerà scappare.
Poi c'è la manovalanza di chi inizia dalla gavetta, come la donna veneta che sembra sia ai vertici dell'organizzazione che spedisce i musulmani «de noantri» a crepare ovunque sia possibile nel Medio Oriente. Insomma, l'assortimento di funzioni terroristiche al femminile appare vario e in continuo sviluppo.
Si può davvero credere che la motivazione fondamentale che spinge queste donne a diventare sanguinarie terroriste sia la fede nell'islam? Non è anomala questa figura femminile alla luce del Corano, del modello sociale islamico, di quel comportamento così convenzionale e così facilmente riscontrabile che considerano la donna sottomessa - quando non serva - all'uomo?
Più di 200 studentesse nigeriane erano state rapite (poi quasi tutte liberate) dal gruppo terrorista islamico di Boko Haram (che significa «l'educazione occidentale è peccato»). Il crimine di quelle ragazze sarebbe stato di non rispettare le leggi della Sharia e di studiare per ottenere un diploma comune ai paesi anglofoni che, forse, avrebbe dato loro l'opportunità di affrancarsi dal modello servile in cui l'integralismo islamico relega la donna.
Abbiamo poi due nostre connazionali, Vanessa e Greta, che stanno probabilmente patendo le vessazioni dei tagliagola, soltanto perché hanno voluto aiutare gli ammalati e gli affamati di quelle terre insanguinate dalle guerre.
E questa è soltanto la cronaca più recente che racconta di donne carnefici e di donne vittime di una cultura - di un modo di pensare la religione, la società, la politica - alle soglie di casa nostra, in cui il corpo femminile è diventato merce di scambio, e la donna una figura cruciale del conflitto mediorientale.
Durante il periodo del nostro terrorismo brigatista, non ci stupiva che ai vertici dell'organizzazione ci fossero delle donne: era uno dei diversi, drammatici, modi in cui si rappresentava l'emancipazione femminile. Si può supporre che qualcosa di analogo avvenga nel terrorismo islamico?
Qui ci accorgiamo che proprio il corpo della donna è diventato una palestra in cui gli stessi terroristi sono costretti a sperimentare nuovi livelli, altre immagini della femminilità, e nello stesso tempo ad affermare tradizionali visioni della donna.
Lady al Qaida ai vertici dell'Isis senza velo, a viso scoperto e in braccio il mitra sarebbe un'immagine normale proprio come normale sarebbe rapire, schiavizzare, vendere, sgozzare altre donne, come stava per fare il terrorista Boko Haram? I semplici fatti di cronaca messi uno dopo l'altro stanno mostrando che da questa crudele palestra del corpo femminile la donna finirà per avere un ruolo sempre più centrale, sia come carnefice che come vittima, nel terrorismo islamico di questi tempi.
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