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"Torturava e uccideva migranti in Libia". Un somalo in arresto

La Mobile di Agrigento ha tratto in arresto nelle scorse ore un somalo 23enne

"Torturava e uccideva migranti in Libia". Un somalo in arresto

Sono racconti macabri quelli che emergono dalle testimonianze di alcuni migranti presenti sia a Lampedusa che in altri centri d’accoglienza siciliani: torture, vessazioni, pestaggi e veri e propri sequestri di persona, sono soltanto alcune delle atrocità che venivano praticate nella località libica di Hudeyfà, non lontano dalla località desertica di Al Kufra, lì dove presso un campo controllato dai gruppi criminali che organizzano i cosiddetti ‘viaggi della speranza’ venivano segregate centinaia di persone in attesa di potersi imbarcare poi verso la Sicilia.

La Squadra Mobile di Agrigento, guidata da Giovanni Minardi, assieme ai colleghi di Palermo guidati da Rodolfo Ruperti, hanno tratto in arresto nelle scorse ore un cittadino somalo di 23 anni, Taher Mouhamed Ahmed detto ‘Mohamed il Somalo’, accusato di essere tra i più spietati carcerieri dei migranti; sono stati proprio alcuni di loro ad indirizzare gli agenti e gli inquirenti verso colui che, da diversi mesi, era diventato il terrore del campo di Hudeyfà: “Al mio arrivo Mohamed il somalo era già nella struttura. Lui picchiava i migranti. Si divertiva ad umiliarci e a farci pesare la sua supremazia. Mi ricordo che una volta lo stesso libico, a cui la struttura appartiene, lo ha ripreso perché ci picchiava così forte da ridurci in fin di vita”; questa è solo una delle testimonianze rese da uno dei migranti arrivati nelle scorse settimane in Sicilia.

Le indagini, secondo quanto spiegato dagli agenti della Questura di Agrigento in un’apposita conferenza stampa, sono partite lo scorso 27 maggio grazie ad alcuni racconti di diversi soggetti, molti dei quali di origine africana, sbarcati nei porti siciliani: gli inquirenti sono quindi riusciti ad individuare colui che veniva identificato come ‘Mohamed il somalo’ a Lampedusa, dove era arrivato qualche settimana prima. E’ proprio all’interno dell’hotspot della più grande delle Pelagie che Taher Mouhamed Ahmed è stato trovato ed arrestato e, successivamente, trasportato presso il carcere Petrusa di Agrigento dove adesso si trova a disposizione delle autorità giudiziarie.

“A Lampedusa – racconta Giovanni Minardi, capo della Mobile di Agrigento – Mohamed Il Somalo continuava a minacciare anche se solo verbalmente e prometteva altre torture a chi raccontava gli episodi accaduti in Libia alla Polizia; i migranti però, ascoltati uno per uno, in gran parte hanno raccontato quello che era loro capitato”.

Per il somalo l’accusa è di associazione a delinquere a carattere transnazionale dedita a commettere reati contro la persona, alla tratta di esseri umani, al sequestro di persona, alla violenza sessuale, all’omicidio aggravato ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; quella delle scorse ore, è la terza operazione del genere in meno di due mesi portata a termine in Sicilia e che è riuscita a scovare gli autori dei maltrattamenti contro migranti che attendono di imbarcarsi dalla Libia: il 12 maggio scorso, erano stati arrestati tre nigeriani con analoghe accuse di vessazioni, torture e violenze, mentre il 20 giugno ad essere fermato è stato John Ogais, 25 anni anch’egli nigeriano, soprannominato ‘Rambo’ per la sua stazza per la sua aggressività mostrata contro i suoi stessi connazionali.

L’operazione con cui è stato tratto in arresto ‘Mohamed il somalo’, conferma ancora una volta come dietro ai viaggi della speranza si nascondano associazioni criminali gestite da persone senza scrupoli che, oltre a lucrare sulla disperazione di migliaia di esseri umani, praticano sistematicamente la violenza e la tortura nei campi libici rimasti senza alcun presidio per via del fallimento dello Stato libico dopo la caduta del regime di Gheddafi. In alcuni casi, le minacce perpetuate dal somalo arrestato nelle scorse ore consistevano nel chiamare i parenti della vittima di turno per far sentire telefonicamente gli abusi compiuti ed accelerare in tal modo il pagamento di ingenti somme di denaro per evitare ulteriori torture: “Spesso mi costringevano a chiamare a casa e nel frattempo mi colpivano con tubi di gomma” si legge infatti in una delle deposizioni rese note dalla Questura.

“C’è un elemento di novità rispetto ad altre indagini – ha tenuto a precisare lo stesso Giovanni Minardi – Di solito i migranti in procinto di partire vengono rinchiusi in centri vicino la costa; questa volta invece, la località di Hudeyfà dove sono stati accertati gli abusi si trova vicino Al Kufra, oasi nel cuore del deserto libico non lontano dal Sudan”.

Questo elemento non è da sottovalutare e testimonia il doppio binario in cui corre la tratta dell’immigrazione: giunti dal Niger e dal Sahel in Libia, le organizzazioni criminali dirigono poi i migranti verso due distinte direzioni, Ghat e Sebah da un lato, Al Kufra dall’altro con quest’ultima località che potrebbe essere una base per chi intraprende le traversate non dalla Tripolitania ma dalla costa di Sirte o della Cirenaica.

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