Il tribunale del web fa paura: censurano Trump (e tutti noi)

Nel mirino di Facebook e Twitter non c'è solamente la libertà del presidente americano. Ma anche la nostra

Il tribunale del web fa paura: censurano Trump (e tutti noi)

Impedire la rielezione di Trump con qualsiasi mezzo. È il leitmotiv del mondo liberal e democratico americano che, pur non essendosi ancora ripreso dalla sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, vuole evitare di compiere lo stesso errore di quattro anni fa sottovalutando il leader repubblicano alle elezioni presidenziali in autunno.

Gli strumenti utilizzati contro Trump diventano ancora più pervasivi e senza esclusioni di colpi, al punto da ingaggiare nella lotta contro il presidente anche i social network, i cui creatori sono imbevuti dell’ideologia progressista e politicamente corretta che spopola dalle parti della Silicon Valley e di Palo Alto.

Compreso che i “New York Media” non sono più sufficienti per contrastare Trump e i conservatori americani, negli ultimi mesi (guarda caso in concomitanza all’avvicinarsi della scadenza elettorale), Twitter e Facebook si sono resi protagonisti di alcuni episodi di censura nei confronti dei suoi post, l’ultimo pochi giorni fa da parte del social network di Zuckerberg che ha oscurato uno spot della campagna elettorale trumpiana accusandolo di “utilizzare simboli nazisti”.

Il dibattito sul labile confine tra la libertà d’espressione e la necessità di contrastare fake news e notizie che incitano all’odio è quanto mai attuale ma è lecito domandarsi se un social network abbia il diritto di oscurare un messaggio del Presidente degli Stati Uniti. Così facendo, da un lato si contraddice la Costituzione americana che garantisce a tutti i cittadini libertà di parola e dall’altro si compie un gesto a tutti gli effetti politico intromettendosi nella campagna elettorale. La decisione di Facebook assume una particolare gravità poiché avviene qualche settimana dopo lo scontro tra Twitter e il Tycoon in cui Zuckerberg aveva preso le distanze dalla scelta di cancellare una serie di tweet trumpiani, sostenendo che i social non debbano essere “arbitro della verità”, parole che hanno provocato lo sciopero di più di 600 dipendenti e una rivolta interna all’azienda.

Il punto è che la maggioranza della comunicazione di Trump si basa sui social network e sul dialogo diretto con i cittadini, mentre i mainstream media, ad eccezione di poche voci come Fox, sono schierati contro il Presidente che fa dello stile politicamente scorretto il suo forte. Nel momento in cui gli viene impedito di esprimersi liberamente filtrando i suoi contenuti, si compie un gesto politico che finisce per favorire i suoi avversari democratici.

Nel momento in cui si interviene sulla libertà di espressione, si entra in un terreno labile e, come sta avvenendo in questi giorni di furia iconoclasta, si sa dove inizia l’attività censoria ma non dove finisce. Chi decide quali sono i contenuti leciti e quali no? In base a quali criteri? È giusto che un’azienda privata possa decidere arbitrariamente di censurare un rappresentante delle istituzioni eletto dal popolo? Il ragionamento vale per ogni cittadino, essendo la libertà di espressione un diritto che differenzia una democrazia da una dittatura. A meno che non si avvalli la visione di una società fondata sulla tecnocrazia in un cui alla sovranità popolare, ai diritti garantiti dalle costituzioni, alle leggi votate dai parlamenti e ad eventuali illeciti sanzionati dai tribunati, si sostituisca il dominio della tecnica, dei social network e degli algoritmi in grado di decidere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato dire.

In tal senso tutto è lecito, oggi è Trump, domani potresti essere tu, poi chissà, il nuovo tribunale del web potrebbe decidere di dare spazio solo a opinioni conformi a una certa visione politica e del mondo. In parte sta già accadendo e, se si arriva a censurare il Presidente degli Stati Uniti, dovremmo preoccuparci.

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