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Tunisi e Yemen, perché la Casa Bianca non crede (ancora) all'Isis

Gli ultimi sanguinosi attentati sono stati rivendicati dallo Stato islamico. Ma la Casa Bianca è molto cauta

Tunisi e Yemen, perché la Casa Bianca non crede (ancora) all'Isis

Gli Stati Uniti sono cauti, molto cauti. Vogliono vederci chiaro e non accreditano la pista dell'Isis dietro agli attacchi a Tunisi e nello Yemen. Non ci sono ancora prove chiare che dietro l’attentato al museo di Tunisi ci sia l’Isis, come lo stesso stato islamico ha rivendicato: lo afferma il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. Lo stesso discorso lo fa per la carneficina compiuta oggi in alcune moschee dello Yemen, costata la vita a più di cento persone. "Stiamo verificando se effettivamente l’Isis ha una struttura di comando e di controllo in grado di coordinare tali attacchi", ha spiegato ancora Earnest, sottolineando come "spesso l’Isis rivendica la responsabilità di attacchi per scopi puramente propagandistici". Insomma. anche se non sono stati loro sono contenti di far credere di sì. Tutto fa brodo e contribuisce ad arricchire la loro fama di spietati terroristi, in grado di seminare il panico in diversi angoli del mondo.

L'America non nega che vi sia lo zampino del sedicente Stato islamico. Invita solo alla cautela. Il portavoce della Casa Bianca aggiunge comunque che gli attacchi in Yemen dimostrano come "tutti nella regione sono minacciati dall’Isis, compresi i musulmani".

Per certi versi tornano alla mente alcuni attentati, tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, compiuti in Italia dalle Brigate rosse. E non solo da loro. Molti, infatti, erano quelli che tentavano di mettersi in luce compiendo questa o quella strage, con la speranza di poter essere accolti nella "grande famiglia" delle Br.

Quella messa in piedi dall'Isis è una precisa strategia di marketing: gli attacchi compiuti (veri o presunti che siano) servono anche ad alimentare la propaganda e ad accrescere le affiliazioni. Questo, ovviamente, insieme alle barbare esecuzioni ed ai filmati inquietanti preparati con sapiente montaggio. La differenza fondamentale tra Isis e al Qaeda è che la prima punta alla conquista e al mantenimento di un territorio, mentre la seconda è una rete capillare, costituita da varie cellule sparse nel mondo, che si propongono attacchi terroristici più o meno mirati e portano avanti una strisciante opera di sabotaggio contro le istituzioni, per destabilizzare gli stati e insidiarsi al proprio interno. Non sono la stessa cosa anche se, in alcuni casi, possono venire in contatto.

La rivendicazione dello Stato islamico per l'attentato di Tunisi appare autentica, essendo passata per tutti i canali web generalmente utilizzati dal "Califfato" per le comunicazioni ufficiali. Eppure più di un analista ha sollevato dubbi sul testo e sull’audio del messaggio, che non presentano alcuni elementi chiave del "marketing" cui ricorre in casi di questo tipo lo Stato islamico. Circostanza sospetta anche per l’importanza dell’azione condotta nella giornata di mercoledì, la prima condotta dal gruppo di Abu Bakr al Baghdadi in Tunisia dopo le sempre più frequenti minacce delle ultime settimane. Tutto questo, assieme alla peculiarità delle dinamiche dell’attacco rispetto a precedenti operazioni condotte dall'Isis, ha destato sospetti sul fatto che l’attentato del Bardo sia opera di una cellula di sostenitori del "Califfato" piuttosto che un’azione coordinata con la leadership del gruppo jihadista. Insomma, terroristi che vogliono mettersi in mostra e ricevere il "bollino" di al Baghdadi. Tra l'altro il panorama jihadista tunisino negli ultimi mesi è stato attraversato da notevoli cambiamenti che lo hanno reso fortemente frammentato e complesso. Un processo che ha avuto due principali motori. Basti pensare al graduale smembramento di un gruppo apparentemente solido come Ansar al Sharia, responsabile dell’assalto all’ambasciata statunitense nel settembre del 2012 e degli omicidi dei leader di sinistra Chokri Belaid e Mohammed Brahmi nel 2013. E bisogna altresì rilevare che i confini tra i gruppi jihadisti locali siano diventati assai sfumati nel corso del tempo.

Del resto il graduale indebolimento di Ansar al Sharia e, in ultima istanza, di al Qaeda, ha permesso allo Stato islamico di crescere come polo d’attrazione per i tanti estremisti rimasti attivi nel paese (da sottolineare, ancora una volta, il dato dei 3 mila tunisini andati a combattere il Jihad in Siria tra il 2011 e oggi).

Da questo punto di vista, l’attentato del Bardo può essere letto anche nel quadro della rivalità locale tra cellule ispirate ad al Qaeda o allo Stato islamico ma contraddistinte dalla medesima ideologia.

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