Sofferenza, crimini e torture da parte degli americani durante la guerra in Iraq avrebbero causato l'ascesa dello Stato islamico. Questa ipotesi, condivisa anche da gran parte del mondo islamico, è stata riproposta da un ex marine, Vincent Emanuele, che ha combattuto in Iraq tra il 2003 e il 2005.
L'esportazione della democrazia in Iraq sarebbe stata solo un pretesto, come ammette anche l'american sniper Chris Kyle nelle sue memorie: "Non ho rischiato la vita per portare la democrazia in Iraq. Ho rischiato la vita per i miei compagni, per proteggere i miei amici e i miei connazionali. Sono andato in guerra per il mio paese, non per l'Iraq. Il mio paese mi aveva mandato là in modo che tutta quella merda non arrivasse a lambire le nostre coste. Non ho combattuto neppure una volta per gli iracheni. Degli iracheni non mi frega un cazzo".
Durante il conflitto in Iraq, come in tutte le guerre, sono stati commessi dei crimini, come ha raccontato a Sputnik il marine: "La morte e la distruzione che abbiamo causato al popolo iracheno non sarebbe passata inosservata. [Sapevamo] che ci sarebbe stata una risposta - e che sarebbe stata una risposta violenta - e che più saremmo rimasti lì, più avremmo torturato, più gente avremmo ucciso, tutto questo sarebbe poi tornato sotto forma di 'blow-back', attraverso conseguenze indesiderate e terrorismo".
Queste non sono solo ipotesi di un ex marine.
Sono supposizioni condivise anche dalla stampa americana (Cnn in testa) che, lo scorso aprile, aveva spiegato come l'Isis faccia leva sui crimini compiuti ad Abu Ghraib e dagli uomini della Blackwater per fomentare l'odio antiamericano e, quindi, la radicalizzazione degli iracheni.Riflessioni più che mai attuali, con la crisi siriana che potrebbe sfociare in una nuova guerra che potrebbe trasformarsi in un boomerang per l'Occidente.
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