Livio Caputo
I segnali stanno diventando ogni giorno più chiari. Abbiamo avuto fino ad ora il grido di allarme per le persecuzioni dei cristiani dalla Nigeria al Pakistan, lallontanamento di un prelato troppo indulgente nei confronti dellIslam, la collaudata sintonia intellettuale con il presidente del Senato Pera (autore di un manifesto che con toni quasi politicamente scorretti invita lOccidente a ritrovare la sua identità). Ieri poi il Papa ha chiarito il suo pensiero: «Dio chiederà conto ancor più severamente a chi sparge in suo nome il sangue del fratello».
Così, negli ambienti cattolici e laici più sensibili alla minaccia che incombe sullEuropa, sta nascendo la speranza che Benedetto XVI possa assumere nello scontro con lIslam fondamentalista un ruolo analogo a quello che Pio XII ebbe nella lotta contro il comunismo diventa più concreto: un ruolo nello stesso tempo di ispirazione e di stimolo, che supplisca almeno in una certa misura alle prudenze dei leader politici europei e ai troppi distinguo che caratterizzano in questo momento la cosiddetta intellighentia. Per il Pontificato, passare dallecumenismo fiducioso di Giovanni Paolo II, che talvolta sembrava quasi ammirato della fede dei musulmani in Allah, a posizioni più militanti sarebbe una svolta quasi epocale, che certo non può avvenire da un giorno allaltro. Ma dietro le Porte di bronzo cè chi pensa che una discesa in campo contro la furia antioccidentale e anticristiana degli integralisti possa essere il modo migliore per salvare proprio quel dialogo tra religioni che rimane uno dei grandi obbiettivi del Vaticano.
La prospettiva di un ruolo più attivo del Papa piace soprattutto a coloro che vedono una crescente analogia tra lo scontro che, nella seconda metà del secolo scorso, contrappose il mondo libero al blocco comunista e quello che, dopo l11 settembre, si è delineato tra lOccidente giudaico-cristiano e una parte del mondo islamico. Nonostante le evidenti differenze, in entrambi i casi si può parlare di «scontro di civiltà», nel senso dellaggressione di un sistema a un altro che, pur non volendo la guerra, si trova nella necessità di difendersi per sopravvivere. Come Pio XII, sessantanni fa, capì che una vittoria del comunismo avrebbe portato al disastro della Chiesa, così Benedetto XVI sembra arrivato alla conclusione che la relativa arrendevolezza dellOccidente davanti a un fanatismo musulmano che sembra riemergere dai secoli bui potrebbe riuscire, a medio termine, esiziale. Dopo tutto, a un Vaticano che, negli ultimi tempi, ha puntato moltissimo proprio sulla diffusione della fede nel Terzo mondo, non può sfuggire il fatto che se lIslam riuscisse a conculcare le comunità cristiane in Asia ed in Africa, le conseguenze sarebbero drammatiche anche in Europa.
Nessuno vuole, ovviamente, che Benedetto XVI indossi i panni di un Urbano II, di un Innocenzo IV o di un Pio II perché, sebbene la parola «crociata» sia tornata di gran moda, i tempi sono profondamente cambiati e lo scontro è comunque, solo con una parte dellIslam. Non ci si aspetta neppure che sposi le tesi di Oriana Fallaci e scenda in guerra aperta contro gli ayatollah di Teheran, Hamas, i Fratelli musulmani, gli integralisti turchi e quantaltri in questo momento prendono pretesto dalle vignette di Maometto per dimostrazioni sanguinose e assassini mirati. Nel 2006, le cose non sono (ancora) così chiare come erano in Italia nel 1946, e nella stessa Chiesa coloro che la pensano come il cardinale Biffi, il quale denunciò per primo i pericoli di una massiccia immigrazione islamica, sono probabilmente ancora in minoranza.
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