Roma - A capire perché, basterebbe dare un'occhiata ai numeri. Dal 1999 a oggi 14 episodi: i primi con un ascolto medio del 25 per cento di share; i successivi col 32. Replicati 64 volte, ogni episodio visto da una media di 32 milioni di spettatori (ciascuno di loro l'ha visto sei-sette volte), seguito in tutto da 350 milioni di persone. Ecco spiegato - insomma - perché Nicola Zingaretti s'è rimangiato la promessa fatta tre anni fa: quella di non voler interpretare mai più Il commissario Montalbano. «Ma quando uno dice una stupidaggine deve avere il coraggio di ammetterlo - commenta lo stesso attore -. Lo riconosco: avevo sbagliato». E così, visto che (come sintetizza Tini Andreatta di RaiFiction) «Montalbano è il più grande fenomeno della tv italiana degli ultimi dieci anni», da domenica con Vampa d'agosto - e quindi il 3, il 10, il 17 su Raiuno - il mitico commissario tornerà ad annunciare agli innumerevoli patiti e fan: «Montalbano sono».
«Strategicamente poteva anche essere una decisione valida - argomenta oggi Zingaretti -. Ma poi, in questi tre anni, mi sono mancati i miei amici siciliani. Mi è mancata la troupe con cui da dieci anni condividiamo questa passione; il contadino che ci portava la ricotta calda; il padrone della masseria che ci regalava il pane. Ma soprattutto mi mancava il commissario Montalbano».
Ma per lei chi è, oggi, dopo dieci anni, il commissario Montalbano?
«Un amico che vive lontano, in un paesino sperduto, e che ogni anno si va a trovare per raccontarsi tutto quel che è successo nel frattempo. Un personaggio vivo: Andrea Camilleri continua a scriverne, a farlo crescere, ad affinarlo. E questa, per un attore chiamato a dare vita a un personaggio, mentre il personaggio stesso cresce, è un'occasione unica».
Ma non ha avuto neppure un'esitazione, prima di tornare in quel paesino sperduto?
«Una sola. Dopo tanto successo bisognava affrontare aspettative altissime. Aumentate, perdippiù, dall'assenza durata tre anni. Insomma: il pericolo era quello di deludere. Ma credo che questi quattro nuovi episodi - La vampa d'agosto, La pista di sabbia, Le ali della sfinge, La luna di carta, sempre diretti da Alberto Sironi - siano i migliori di tutta la serie».
Ma com'è cambiato, dal ’99 a oggi, il suo personaggio?
«Come cambia una persona reale. Innanzitutto è invecchiato (anche se non come nei romanzi, dove ormai è sessantenne), quindi è maturato (divenendo più riflessivo) ma soprattutto è rimasto più solo. Tutti gli eroi tendono all'isolamento, cogli anni diventano malinconici e intrattabili. C'è un solo aspetto degli ultimi libri di Camilleri su cui abbiamo dovuto glissare. La paura della morte, che il Montalbano di carta prova in virtù dell'età avanzata. Ma che addosso a me sarebbe solo ridicola».
Dopo tanti anni di assiduità, c'è qualcosa del personaggio che appartiene all'interprete, o viceversa?
«Camilleri mi ha fatto un grande onore dicendo che, ormai, quando scrive di lui lo fa pensando a me. Io amo molte delle sue cose, e in molte vorrei somigliargli davvero. Una su tutte: il senso della giustizia».
E poi questa volta accade l'impensabile. Il roccioso, il fedelissimo Montalbano, per la prima volta cede alle lusinghe del sesso.
«Sì: per la prima volta tradisce la fidanzata di sempre, Livia. E gli accadrà con due splendide donne: Serena Rossi e Mandala Tayde. Uno sviluppo del personaggio che è organico, non strumentale: che non nasce cioè dalla necessità di acchiappare nuovo pubblico. Ma che risponde allo sviluppo di una persona, nell'arco di una vita».
C'è un'altra insidia, nascosta in questo ritorno: ormai nessuno fa più ascolti del 32 per cento...
E che ne dice Camilleri di quest'avventura apparentemente infinita?
«Camilleri era mio maestro all'Accademia d'Arte Drammatica.
Il produttore Carlo Degli Esposti parla già di ulteriori episodi...
«Se son rose fioriranno... ma io non prometto più niente!».
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