Montanelli&Berlusconi, due acerrimi amici

Caro Feltri, lunedì ho letto sul Giornale il suo articolo dedicato al decennale della morte di Indro Montanelli. Tengo a precisare che sono di destra. Nel descrivere il clima politico e culturale degli anni ’70 lei ha centrato la questione: l’opinione pubblica era in nove casi su dieci schierata con la sinistra e la nascita di un foglio indipendente e anticonformista come il Giornale fu vista come un exploit di un personaggio alla ricerca di ribalta, niente più che un fascista, un reazionario. Non concordo, invece, con quanto lei scrive: «Il Giornale, esaurita la sua missione, accusò qualche sintomo di stanchezza. Infatti non colse i mutamenti sociali e politici della fine anni Ottanta e dell’inizio dei Novanta: il declino della Prima Repubblica, la fine dell’Unione Sovietica e satelliti vari, i vagiti della Lega bossiana e le avvisaglie di Tangentopoli». Dovrebbe sapere meglio di me che proprio Il Giornale dedicò, fra gli anni ’80 e i ’90, ampia attenzione al fenomeno leghista, allora emergente, condividendone alcune battaglie come quella per la pulizia della classe politica e per il riconoscimento di talune autonomie locali. Ma le assurdità macroscopiche - non si offenda - del suo articolo sono riservate per la parte conclusiva, dove lei racconta la rottura con Berlusconi e il motivo scatenante. Le cose non andarono come lei scrive (lo raccontò lo stesso Montanelli e lo testimoniarono diversi redattori del Giornale): non siamo di fronte a un Berlusconi gentile che chiese cortesemente a Montanelli una mano e si vide sbattere la porta in faccia con ingratitudine. Come Montanelli ha ricordato, sono esistiti due Berlusconi. Il primo, il Berlusconi imprenditore, comprò Il Giornale per ripianarne i debiti, con il tacito accordo con Montanelli di mantenere il profilo del semplice proprietario senza ingerenze nella direzione e nella linea politica, fino al ’94, anno della «discesa in campo», avversata dal vecchio direttore. Il secondo Berlusconi prende le mosse da quel momento. Anche lei sa che l’8 gennaio ’94 Berlusconi, pur avendo ceduto la proprietà del Giornale al fratello in virtù della legge Mammì del ’90, irruppe nella redazione del quotidiano parlando di «munizioni» che non sarebbero mancate al Giornale se avesse appoggiato certe battaglie e dichiarando che da quel momento si sarebbe dovuto cambiare tutto («Ora il Giornale deve fare la politica della mia politica», disse Berlusconi). Il tutto, scorrettamente, all’insaputa del direttore stesso, cioè del primo che avrebbe dovuto essere informato di ogni cambiamento in vista nella conduzione del quotidiano.
A quel punto Montanelli se ne andò, sotto una gragnuola di colpi mediatici sferrati in primis da Emilio Fede, il quale il giorno prima ne aveva chiesto in diretta le dimissioni, e da Vittorio Sgarbi che lo apostrofò dal suo programma di Canale5 come «vigliacco», «traditore», «fascista», «razzista», «antisemita», «voltagabbana»...

È evidente che la rottura del sodalizio ventennale tra Montanelli e Berlusconi è dovuta al comportamento di quest’ultimo e non all’ingratitudine del vecchio direttore. So che questa lettera non sarà pubblicata sul Giornale, ma l’unica cosa che mi basta è che finisca sotto i suoi occhi.

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