Montani ridisegna la Popolare di Milano

La Banca Popolare di Milano dell’associazione «Amici» pare destinata a diventare un ricordo. L’ipotesi di riassetto, che l’amministratore delegato Piero Montani avrebbe anticipato alle prime linee della cooperativa lombarda, pone infatti tutta la vita della banca sotto il controllo della triade composta dal consiglio di gestione, del suo presidente Andrea Bonomi e appunto del capo azienda. Il documento («Regolamento generale della Capogruppo: nuovo organigramma a tendere, prima ipotesi in via di definizione e approfondimento»), di cui il Giornale è entrato in possesso, affida in particolare al consiglio di sorveglianza il solo «Internal auditing».
Tutto il resto, come vuole il rigido statuto duale di Bipiemme concordato con Bankitalia, è appannaggio del Cdg, cui farebbero capo le direzioni: «Investor relations», «Partecipazioni», «Costi e logistica», «Legale e affari societari», «Relazioni esterne», «Organizzazione», Marketing e «Risorse Umane», una casella chiave per Piazza Meda e i suoi sindacati interni. Subito sotto si trovano le caselle «Crediti», «Mercato», «Finanza» e «Operation» che, secondo quanto si vocifera alla popolare, potrebbero essere destrutturate e trasformate da direzioni in «funzioni centrali». Senza contare che Montani, notato al secondo piano di Piazza Meda per l’aspetto accigliato, starebbe predisponendo un’ulteriore versione dell’organigramma che vedrebbe il «marketing» riallocato con una missione più operativa nell’ambito del «mercato». Confermati invece il Chief financial officer (con poteri su «Amministrazione e bilancio», «Pianificazione operativa», «Controllo di gestione») e il Chief risk officer («Compliance» e «Risk management»). Montani ha già ufficializzato che il management sarà rafforzato «con inserimenti esterni», un aspetto cruciale per la retroguardia di Bpm, che prima dell’avvento di Bonomi era stata messa alle strette da Bankitalia e Consob per lo scandalo delle carriere «politiche» eterodirette dai sindacati: l’arrivo alle «Risorse Umane» di Giovanni Rossi dal Banco Popolare pare imminente ma potrebbero essere ripensate anche «organizzazione», «marketing» e «finanza», prima supervisionata dall’ex direttore generale Enzo Chiesa (liquidato con una «buonuscita» da 2,35 milioni).
Appena sotto la scorza delle smentite ufficiali, c’è poi il nodo del personale e di un cost/income molto superiore alla media: secondo alcune stime Bpm avrebbe 1.300 potenziali esuberi, concentrati negli uffici centrali o dovuti alla ridondanza della rete nelle aree storiche. Il nostro sistema creditizio, confida un banchiere, continua a combattere con costi «difficilmente sostenibili, se prima della crisi il margine di interesse era sufficiente ad assorbire spese del personale ed operative, ora copre di misura il 70-80 per cento. Di conseguenza o l’industria del credito riesce ad aumentare i ricavi o deve ridurre le spese». Un aspetto, quest’ultimo, ben presente a Montani che è impegnato a predisporre il nuovo piano industriale entro giugno, dopo aver chiuso il suo primo bilancio con un buco di 614 milioni «scavato» dalle svalutazioni (in gran parte legate alle controllate Banca di Legnano e CariAlessandria) e dagli accantonamenti per rimediare al prestito convertendo. Tanto che il banchiere, avrebbe già testato l’efficienza del gruppo sia con alcuni blitz nelle aree territoriali (a partire da quelle di Roma e Milano) sia entrando in «incognito» in alcune filiali per verificare il servizio alla clientela.


Il 28 aprile è invece in agenda l’assemblea dei soci, che sarà la prima occasione ufficiale di confronto tra l’Associazione Amici, storicamente egemone in Piazza Meda e ora sostenuta da Uilca e Fisac, e la neonata «Arco», creata da Fabi e Fiba Bpm per imprimere una svolta nella cooperativa, stabilendo una netta separazione tra ruoli sindacali e associativi.

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