Il Montecarlo compie 100 anni

È stato facile, anche per i tecnici, appassionarsi al Rallye di Monte-Carlo (così il segretario del Principe raccomandava che si scrivesse) negli anni Cinquanta e Sessanta, quando è scesa in campo la Citroën, con la sua «trazione anteriore» d'avanguardia, la famosa serie «Id/Ds», o quando sono arrivate le piccole Mini-Cooper a sbaragliare il campo, nonostante la loro concezione originaria di tipo utilitario - altro esempio di mirabile progettazione, dovuta al grande precorritore Issigonis. Eppure, l'interesse tecnico ha avuto radici profonde, fin dalle prime edizioni della celebre competizione, perché ha offerto uno spunto interessante, con la nascita e lo sviluppo dell'auto specialistica, pur sempre stradale: la Hotchkiss, non certo frutto della produzione industriale di serie, già ampia un'ottantina di anni fa. Quindi, la ricorrenza di un secolo dal primo rallye monegasco, dovuto alle vulcaniche iniziative del ricco Anthony Noguess, l'uomo del gran premio cittadino e della bandiera a scacchi, consente di affermare che questa manifestazione ha contribuito sensibilmente al progresso della nostra automobile quotidiana, specie nella viabilità invernale.
Per quanto il rallye non sia il mio forte, data la dedizione alla velocità, ricordo con quanto stupore e con quanta ammirazione avevo seguito a metà degli anni Cinquanta le vicende della magica «Id19/Ds19» dalle sospensioni idro-pneumatiche: la «traction» era una originalità del pioniere André Citroën già lungamente celebrata. E ricordo Trautman, che, nelle strade fortemente innevate, sollevava la macchina e filava via indisturbato; ricordo la vittoria di Coltelloni (nel ’59), ribadita, qualche anno dopo, dal forte Toivonen. Addirittura ero sbalordito dalle scorribande (sono iniziate nel 1965) della piccola Mini, anche per l'amicizia con il mitico Charles Cooper e con suo figlio John: i suoi piloti Hopkirk, Makinen e Aaltonen mi parevano dei fenomeni. Guarda caso, questa favolosa Mini, antesignana della trazione anteriore a motore trasversale, proponeva, poco dopo la sua nascita, la sospensione «hydrolastic». Ma a Monte-Carlo la veloce vetturetta modificata da Cooper, era già «corsaiola» al cento per cento, con sospensioni che sfruttavano le profonde conoscenze del grande rivoluzionario della Formula 1. E, per inciso, bisogna osservare che le antesignane Hotchkiss, costruite alle porte di Parigi, sono rimaste sotto osservazione, da parte di tutti gli esperti, ancora nel 1949 e 1950, alla ripresa del rallye, dopo la parentesi bellica. I puristi criticavano - giustamente - le eccessive elaborazioni di queste macchine speciali, pur riconoscendo anche a loro un valido contributo al progresso generale.
Era l'anticamera dell'attività sportiva moderna, che imponeva l'impiego delle auto derivate di serie, opportunamente omologate e regolamentate, in questo genere di competizioni. Ecco la Lancia Aurelia di Chiron del 1954 (un campione della Formula 1 intervenuto da trionfatore, tanto prima degli ultimi esempi infruttuosi); ecco la memorabile puntata della Mercedes ed ecco l'importante esperienza della Porsche, che, con i successi del classico Waldegaard, ha usato il rallye per migliorare la guidabilità della stupenda 911. Fino all'era di Munari, iniziata con la celebre Fulvia del 1972 e continuata con la meravigliosa Stratos. Sicuramente, sono stati quelli gli anni più interessanti dal punto di vista tecnico e i miei ricordi, con quel gradevole ambiente e con quelle notti sul Turini, sono vivissimi.

Con Munari avevo introdotto un semplice metodo di valutazione delle prestazioni, che era piaciuto molto alla Lancia: il Delta per cento dei tempi delle prove speciali. Probabilmente, sarebbe un metodo da riprendere, per una migliore classificazione dei terreni di gara, delle qualità del pilotaggio e del progresso dell'automobile odierna.

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