Montgomery e Clark: alleati agli antipodi

Così diversi. Uno mingherlino e scattante, amante delle divise improbabili e trincerato dietro i suoi enigmatici baffetti. Iroso e scorbutico quanto tenace nel perseguire, infischiandosene delle critiche, quella che riteneva essere la strategia vincente. L’altro altissimo e dinoccolato, insensibile alla forma ma attentissimo alla diplomazia e alla logistica. Un generale che non inventa mosse tattiche a sorpresa ma costruisce gigantesche e inarrestabili macchine belliche. Eppure, nonostante tutte le distanze, così uguali: entrambi cresciuti militarmente nelle trincee della prima guerra mondiale, durante la quale restarono gravemente feriti, costretti a coordinare i propri sforzi e le proprie personalità per battere l’Asse prima in Africa e poi in Italia.
Stiamo parlando del più britannico dei generali, Bernard Law Montgomery, il vincitore di El Alamein, e di Mark W. Clark, l’uomo più fidato di Eisenhower che riuscì a portare gli americani in Algeria e, dopo aver coordinato l’avanzata che culminò con le quattro tremende battaglie di Monte Cassino, riuscì ad arrivare a Roma. E ora i due percorsi paralleli di questi uomini agli antipodi diventano perfettamente conoscibili per il lettore italiano, grazie ai due diari di guerra in pubblicazione dalla Libreria Editrice Goriziana che saranno sugli scaffali delle librerie dal 24 settembre. Quello di Montgomery s’intitola Da El Alamein al Sangro (pagg. 200 euro 25) e verrà presentato in anteprima oggi dal figlio del generale, David Montgomery, al festival Pordenonelegge. Quello di Clark è Le campagne d’Africa e d’Italia della Quinta armata americana (pagg. 524, euro 30). E anche nella scrittura i due documenti, entrambi interessantissimi e praticamente inediti in Italia (Clark in senso assoluto, Montgomery non è ripubblicato dagli anni Cinquanta), rivelano la differenza tra i due personaggi.
Asciuttissimo e cesariano Montgomery, torrenziale e con una penna brillantissima Clark. Giusto per fare un esempio: nella relazione dei fatti di El Alamein la parola «italiani» Montgomery la usa due volte e liquida tutta la faccenda in una manciata di pagine; nel descrivere lo sbarco alleato in Algeria e le trattative precedenti Clark ragguaglia nel dettaglio, e con piglio da Pulitzer, ogni istante di quella complessa manovra su cui gli alleati rischiarono davvero grosso (avevano enormi dubbi persino sulla reale neutralità di Franco, ma tirarono dritti lo stesso grazie alla tenacia di Churchill). E anche sulle rispettive campagne d’Italia le differenze narrative permangono tutte. Montgomery schizza il quadro dell’invasione della Sicilia, Clark racconta ogni attimo della presa di Salerno nel ’43 dando atto al valore dei singoli soldati di cui racconta le vicende e dà largo spazio, per quanto riguarda il resto della campagna, ai rapporti con gli italiani (che Monty invece guarda sempre con un certo freddo distacco). In ogni caso mettendo assieme i due documenti si ottiene, probabilmente, la migliore descrizione della campagna alleata d’Africa e d’Italia disponibile: che si parli di fatti strettamente militari o del background politico.
E i rapporti tra i due generali? È Clark a darci alcuni dettagli indicativi. Quando ancora le operazioni in Africa non erano iniziate, Clark e Eisenhower incontrarono Monty nel suo quartier generale: Ike si beccò un bel cicchetto per essersi permesso di accendere una sigaretta nell’ufficio dell’inglese.

Quando Clark rischiò di vedersi buttare a mare dai tedeschi nelle prime fasi dello sbarco di Salerno si vide recapitare un messaggio di questo tenore: «Mi sembra che non si stia divertendo troppo ma... noi stiamo arrivando a darvi una mano». Ma si sa, Monty era Monty e in certi casi bisognava portar pazienza.

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