
La Procura generale di Milano ha presentato ricorso in Cassazione - circa un mese fa, ma lo si apprende solo oggi - per chiedere la revoca del provvedimento con cui nelle scorse settimane il Tribunale di sorveglianza ha concesso la semilibertà ad Alberto Stasi, condannato a 16 anni di carcere per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007.
Il motivo dell'impugnazione, spiega la procuratrice Francesca Nanni all'Adnkronos, "è legato all'intervista rilasciata al programma Le Iene durante un permesso familiare". La vicenda, per la Procura generale, avrebbe dovuto essere valutata diversamente dai giudici. Il ricorso in Cassazione, i tempi della decisione non sono brevi, non cambiano la vita di Stasi che si divide tra lavoro esterno e carcere di Bollate.
L'11 aprile Stasi, dopo aver già ottenuto nel 2023 il "lavoro esterno", ossia la possibilità di uscire tutti i giorni dal carcere per darsi da fare come contabile in un'azienda milanese, era stato "ammesso" anche al "regime di semilibertà". Dal 28 aprile, quindi, da quando il provvedimento della Sorveglianza è diventato effettivo, Stasi può uscire dal carcere la mattina, ad un preciso orario indicato nelle prescrizioni, e deve rientrare la sera, dopo cena in sostanza e sempre ad un orario stabilito, potendo quindi restare fuori più di dodici ore in totale e non solo per lavorare. La Procura generale, diretta da Francesca Nanni, con la sostituta pg Valeria Marino, aveva già chiesto, nell'udienza di discussione il 9 aprile, il rigetto dell'istanza di semilibertà, evidenziando un unico "neo" nel suo comportamento, ovvero quella mancata richiesta di autorizzazione al magistrato di Sorveglianza per quell'intervista, durante un permesso premio.
In un documento agli atti del procedimento, però, il direttore del carcere di Bollate, Giorgio Leggieri, aveva voluto precisare che era "stata registrata durante il permesso premio", il 22 marzo, e che "non si sono rilevate, pertanto, infrazioni alle prescrizioni". Stessa linea tenuta nell'ordinanza dai giudici (Caffarena, Gentile e due esperti), che avevano dato ragione agli avvocati di Stasi. I giudici nel provvedimento avevano citato le relazioni tutte positive dell'equipe del carcere e spiegato che il 41enne, ex bocconiano e in carcere da dieci anni dopo la sentenza definitiva del 2015, anche se si è sempre proclamato innocente, ha tenuto "un comportamento in linea con l'accettazione della condanna". E "ha sempre manifestato empatia e sofferenza verso" la vittima.
Per la Procura generale, però, la mancata richiesta di autorizzazione per quell'intervista è un comportamento che i giudici dovevano valutare diversamente e non in linea con la concessione della semilibertà. Ora la Cassazione dovrà fissare udienza e decidere. Tra non molto, tra l'altro, Stasi potrà chiedere anche l'affidamento in prova ai servizi sociali, misura alternativa alla detenzione.