Moody’s «decapita» l’Irlanda E l’Fmi vede rischi di contagio

Senza neppure avere il tempo di gustare l’accordo stretto a Bruxelles dai leader dei 27 per la nascita del nuovo fondo salva-Stati, l’Europa ripiomba nella sindrome da crisi del debito sovrano. È ancora l’Irlanda la principale fonte di preoccupazione, con Moody’ che affonda la scure sul rating di Dublino declassandolo di ben cinque tacche (da AA2 a BAA1) e avvicinandolo al marchio infamante di junk (spazzatura). La mossa ha un timing piuttosto insolito se si considera il piano di austerity varato dall’ex tigre celtica per rendere di nuovo presentabili i conti, ma l’agenzia Usa non sembra far troppo affidamento sulle prospettive di rilancio. Anzi, l’outlook è negativo, segno della possibilità di ulteriori bocciature al grado di solvibilità.
Moody’s motiva il pluri-downgrade con tre fattori di criticità: la debolezza del settore bancario, l’accresciuta incertezza dello scenario economico e il declino della forza finanziaria del Paese. Nulla che già non si sapesse, peraltro. L’isola verde è stata costretta ad alzare bandiera bianca, con la richiesta d’aiuto rivolta a Ue e Fmi (prestito pari a 85 miliardi di euro), proprio a causa dei disastrati bilanci delle proprie banche. Nicholas Sarkozy ha infatti definito «sorprendente» la decisione, ma resta il fatto che Dublino continua a essere un malato grave bisognoso di cure aggiuntive. Ieri la Bce e la Banca d’Inghilterra hanno concordato una linea temporanea di swap da 10 miliardi di sterline che potrà essere utilizzata a sostegno della Banca d’Irlanda. Pochi, a giudicare dai 40 miliardi di finanziamenti che - secondo i calcoli di Moody’s - l’istituto centrale irlandese dovrebbe “dirottare” alle sei banche irlandesi nazionalizzate. Altri 90 miliardi dovrebbero invece essere messi a disposizione dall’istituto guidato da Jean-Claude Trichet.
Perfino l’Fmi, all’indomani del via libera alla terza tranche di aiuti per 22,5 miliardi, ipotizza che l’isola verde potrebbe non essere in grado di rimborsare il prestito. Tanto più, visto che il traguardo di ridurre il deficit al 3% del Pil entro il 2015 potrà essere tagliato solo attraverso ulteriori tagli alla spesa, oppure con nuovi modi per aumentare le entrate fiscali. Una manovra aggiuntiva, dopo quella già da lacrime e sangue varata dal governo irlandese, si renderà probabilmente necessaria. L’Irlanda è insomma sull’orlo del precipizio, con l’aggravante che potrebbe trascinare nel vuoto altri Paesi. Il Fondo diretto da Dominique Strauss-Kahn vede «consistenti» pericoli di contagio a causa del «forte legame finanziario con il resto del mondo». Grecia, Portogallo e Spagna sono le nazioni più a rischio, mentre Italia e Belgio «sarebbero in bilico». Nella black list delle banche più esposte nei confronti di Dublino non compaiono però gli istituti italiani, a differenza di quelli tedeschi (113 miliardi), inglesi (107), Usa (47) e francesi (36).
L’intesa di Bruxelles sul nuovo meccanismo anti-crisi è stata un passo avanti compiuto dall’Europa, pur con le concessioni fatte alla Germania.

Ma l’impressione è che ci siano più certezze per la gestione futura delle emergenze e meno per l’oggi, con Portogallo e Spagna (per non parlare dell’Irlanda) tuttora vulnerabili come dimostra il rialzo di ieri degli spread e dei credit default swap.

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