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"Il morbo del pallone" che divora i suoi eroi. Da sconfiggere senza silenzi

Un libro inchiesta di Massimiliano Castellani indaga sul Morbo di Gehrig, racconta le storie delle sue vittime, combatte una battaglia senza tregua: «La strada per vincere la malattia è ancora lunga, ma il primo nemico da sconfiggere è l'omertà del calcio»

"Il morbo del pallone" che divora i suoi eroi. Da sconfiggere senza silenzi

Massimiliano Castellani è uno che ci crede. Combatte per gli altri e non molla mai. Il suo nemico si chiama Morbo di Gerhig, i suoi compagni d'armi i malati, eroi di una battaglia silenziosa e senza quartiere. É per loro che si batte. É giornalista dell'«Avvenire» e sono dieci anni che scrive di uno dei misteri più velenosi del calcio, molto prima che Stefano Borgonovo, la sua storia e la sua lotta, portassero «la stronza» al centro del campo. «Il Morbo del pallone» (Selene Edizioni, 14,50 euro) è il suo ultimo affondo. É un libro duro e tenerissimo, una dettagliata denuncia e una carezza d'amore: i suoi proventi sono devoluti all'Aisla, l'Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica. Perchè insieme alle parole contano i fatti. C'è anche il sito: www.ilmorbodelpallone.it. Perchè la guerra finirà solo quando il morbo sarà battuto. Con il massimo rigore.

Massimiliano, che cos'è il tuo libro: un atto d'accusa, un gesto d'amore, un appello disperato?

«É prima di tutto una presa di coscienza da parte di chi per 10 anni si è confrontato con un cruda realtà: del Morbo di Gehrig, o Sla, si ammalano più persone tra i calciatori che in qualsiasi altre categoria».

Quanti precisamente?

«Più di 5mila in Italia e 500mila nel mondo».

E l'amore quanto conta?

«Un atto d'amore e di solidarietà totale ai malati e alle loro famiglie che spesso vivono nel completo isolamento soprattutto se i loro figli, padri e mariti, non hanno avuto la fortuna di giocare in serie A. L'appello disperato è per tutti, ma in particolar modo per gli Agatino Russo, Maurizio Vasino, Luca Pulino, Moreno Solfrini e tutti quei nomi che al lettore sfogliando il libro non dicono nulla e non ricordano nessuna figurina Panini. Ebbene sappiano che l'avrebbero meritata quella figurina, se non altro per tutte le partite, le finali, che ogni giorno giocano e vincono contro questa terribile malattia».

Perchè un libro sul morbo di Gehrig: interesse professionale o fatto personale?

«Perché dopo aver scritto il mio primo libro-inchiesta "Palla avvelenata" in cui mi ero concentrato sulle morti misteriose dei calciatori, da Taccola anni '60 a oggi, mi sono accorto che troppe di quelle vittime erano state uccise da questa malattia. L'ho ribattezzata strumentalmente, ma non tanto, il Morbo del pallone. Il giudice di Torino Raffaele Guariniello che indagava sulle "morti bianche" del calcio è partito dalla mia stessa considerazione: troppi malati e morti di Sla nel calcio italiano».

Perchè secondo te uccide preferibilmente calciatori?

«Essendo una malattia multifattoriale al momento anche le ipotesi sono molteplici. Si va dai troppi traumi subiti, i tanti colpi di testa che i giocatori si procurano in carriera, ai tempi di recupero dagli infortuni sempre troppo brevi rispetto agli altri sport. Da qui le infiltrazioni per essere in campo a tutti i costi e quindi l'abuso di sostanze dopanti e di farmaci»

E i campi c'entrano?

«Non è da sottovalutare. Per colpa dei disserbanti e dei pesticidi che vengono utilizzati sui terreni in cui i giocatori si allenano e giocano quotidianamente».

Perchè niente casi, o quasi, in altri sport?

«Non è vero che non ci sono casi in altri sport, come non credo sia accettabile dire che la Sla è una malattia solo del calcio italiano».

Colpisce anche dove?

«In Inghilterra come documento nel libro ci sono una decina di casi, ma non esiste un giudice che si è degnato di aprire un fascicolo d'inchiesta come qui da noi ha fatto Guariniello. E in America nel football e soprattutto nel baseball. Perché non dimentichiamoci che Lou Gehrig, che senza volere ha dato il nome il Morbo, è stato una leggenda del baseball e non è stato il solo a morire di questa malattia».

Quante sono le morti bianche del pallone?

«Nella Sla siamo intorno alle 55 vittime ufficiali, ma si parla spesso di esposizione alla malattia 7-8 volte superiore nella popolazione calcistica. Ora se di Sla si ammala una persona ogni 100mila e nel calcio abbiamo 55 casi accertati su una popolazione censita intorno ai 14mila calciatori in attività tra gli inizi degli anni 70 e gli inizi del 2000, si comprende bene che la percentuale è più alta e soprattutto ancora più allarmante».

Colpisce per ruoli o indiscriminatamente?

«Le statistiche ci dicono che si ammalano di più i centrocampisti e su questo possiamo fare solo delle ipotesi: forse un lavoro aerobico superiore o una maggiore predisposizione al contatto fisico e quindi al trauma».

Il calcio è uno sport pericoloso anche oggi?

«Il calcio è uno sport che come molti altri, quando è fatto a livello professionistico non sempre è salutare perché espone il fisico degli atleti a sforzi fisici che spesso vanno oltre i limiti della natura e sono quindi costretti ad "aiutarsi"».

Perchè il mondo di calcio è reticente a parlarne?

«Mi appello al pensiero del giudice Guariniello: mai vista tanta omertà come tra i calciatori. L'industria calcio è costruita sull'immagine e quella non deve essere scalfita, per cui parlare di Sla per molti calciatori in carriera sarebbe un'ammissione di colpa da parte di tutto il sistema che nel tempo ha conosciuto prima il doping farmacologico e poi quello amministrativo e finanziario».

Dopo il caso Borgonovo che cosa è cambiato?

«Stefano e Chantal Borgonovo hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto e l'umiltà di chiedere aiuto. In modo che si creasse un gruppo che dai magistrati ai medici, passando per la stampa e arrivando direttamente al cuore del sistema calcio, sensibilizzasse sul problema della malattia il resto della società civile, probabilmente ignara della portata del problema».

Chi tra i calciatori si batte di più contro la malattia?

«I primi sono stati Massimo Mauro e Gianluca Vialli con la loro Fondazione che ha raccolto oltre 1 milione di euro che sono stati destinati alla ricerca, ma oggi sono molti i calciatori che si sono messi a disposizione a cominciare dal Milan e dalla Fiorentina che hanno sposato la causa del loro ex Stefano Borgonovo».

La storia che ti ha choccato di più?

«Lo choc è sempre lo stesso ad ogni incontro. Forse la storia che mi ha segnato di più è quella di Lauro Minghelli, ex allievo di Cosmi nell'Arezzo, morto praticamente in contemporanea a Marco Pantani. I media hanno cominciato a fare a gara per creare un parallelismo tra sport e doping, non facendo differenze tra la morte del calciatore per Sla, di cui molti ignoravano anche il significato dell'acronimo, e quella di Pantanistroncato dalla droga. Questo è un pericolo che aleggia ancora e mi chocca sempre».

Si può guarire dal morbo di Gherig?

«Al momento solo la speranza e la fiducia nella ricerca scientifica ci fa dire di sì, ma questa ha bisogno di fondi e non è possibile che ogni anno per trovare 20mila euro un ricercatore sia costretto a fare la questua».

...e dall'omertà che lo accompagna?

«L'omertà un po' sta regredendo, ma il calcio da quel punto di vista non è ancora guarito.

C'è una frase tra tutte quella che hai sentito e letto che può sintetizzare questo dramma?

«Nella stanza di Lauro Minghelli c'era una mattonella sopra al suo letto in cui stava scritto: "Non camminare davanti a me, io non posso seguirti. Non camminare dietro di me, io non posso guidarti. Cammina di fianco a me e sii mio amico". Ecco questo è l'appello che ogni giorno dal suo letto, lancia ogni malato di Sla. Ci chiede di stargli vicino in questa sua lotta.

E di essergli amico».

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