Si può morire per il calcio? Si muore, accoltellati al ventre, ammazzati per un colpo di pistola che brucia la pelle, entra nel cuore, spegne la vita. Cronaca nera dopo cronache di sport. Hannover e Torino appartengono allo stesso camposanto. A maggio fu un tifoso della Juventus ad accasciarsi, rantolando, nel sangue. Qualcuno lo aveva colpito con il coltello, improvvisamente. Aveva osato, lo juventino, sfottere Materazzi e l'Inter stracampione, aveva messo in dubbio la forza della squadra di Mourinho e la lealtà di quel difensore così alto e così sghembo. Non c'erano donne di mezzo, non c'erano corna e denari, tradimenti e usura. Nemmeno fazioni di religione e di politica, partiti contro. La partita, sì, quella, una, sacra. Come ad Hannover, in Bassa Sassonia, un giorno come mille altri; nel quartiere oltre la stazione, Oststadt, c'è la vita notturna, ci sono le prostitute, c'è la morte. Due italiani (uno è un pizzaiolo che lavorava in quel locale) hanno preso a discutere di fussball, con i tedeschi è dura oggi, loro sono semifinalisti, noi siamo cornuti e mazziati, loro hanno messo assieme turchi e polacchi per essere uber alles, noi siamo ancora nell'altro secolo, mandolinari, mafiosi e spaghettari. Pure cuochi come i nostri della Little Italy, il ristorante che porta l'insegna di sempre, di dovunque.
La lite si interrompe, sembra la pace, la resa, l'accordo, la birra e il vino hanno bagnato il sangue. Illusione bastarda. La via del piacere diventa la strada della maledizione, il tedesco offeso riapre la porta del locale, estrae l'arma, un colpo, due, un corpo esanime sul pavimento, l'altro ferito, nel sangue, un'ombra fugge, prima vicina, poi lontana, lontanissima, l'eco dei passi e delle ultime parole contro Lippi o Loew, Klose e Cannavaro, c'è puzza di alcool e di morte.
Il calcio propone le sfide ma non le accetta, il calcio fuori dal campo è un duello vigliacco, si gioca al buio, al posto della palla c'è il coltello, spunta la pistola, la catena chiodata frusta l'aria, l'attacco arriva alle spalle. Poi improvviso, agghiacciante, il rantolo, il silenzio.
Non si può morire per un fuori gioco. Non si deve morire per un calcio di rigore. Non si vive per un gol, per uno scudetto, per un mondiale, per una coppa alzata al cielo. Sono morti all'Heysel, sono morti a Hillsbrough, schiacciati dalla follia della passione. Sono morti a Torino e ad Hannover, ammazzati dalla pazzia del tifo violento, ignorante, razzista. Non ci sono martiri, non ci sono eroi, soltanto vittime della miseria umana.
Adesso lacrime, vedove, strazio, vendetta, mentre, più in là, dentro uno stadio, la stessa folla, gli stessi folli urlano, cantano, recitano fingendosi vivi in quell'ora e mezza di sbornia.
Il calcio non è droga. Il calcio non è guerra. Il calcio non è odio. Se questo è il calcio, non può essere nemmeno vita.
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