La morte all’angolo della strada ci fa diventare tutti pessimisti

Barboni senza vita sulle panchine, genitori trovati esangui in casa. Siamo immersi nella cultura della tragedia. Così quando scompare qualcuno non lo cerchiamo mai vivo

La morte all’angolo della strada ci fa diventare tutti pessimisti

Frugando tra le cronache in questi giorni, continuo a imbattermi in gente che viene trovata morta. Il figlio entra in casa e trova entrambi gli anziani genitori morti. Un ladro entra in un appartamento per rubare e trova la padrona di casa morta stecchita in avanzato stato di decomposizione (qui è stato lo stesso ladro, terrorizzato, a denunciare il fatto). In questi giorni di freddo più di una persona, in giro per l'Italia, è stata trovata morta assiderata.
Il fatto che siano stati trovati non vuol dire che siano stati anche cercati. Si cerca quando non se ne può fare a meno. In ogni caso, è un dato di fatto che quando scompare una persona (non so se sia l'effetto del caso della povera Sarah Scazzi), prima di tutto si cerca il morto. La piccola Yara è stata cercata prima di tutto morta - nella cisterna, nel fiume Brembo - mentre solo in un secondo momento si è cominciato a parlare della possibilità che fosse viva.
Molti muoiono nel tentativo di ripararsi da qualcosa: chi dal freddo, come le persone morte assiderate, chi da un mondo nel quale si sentono sempre più stranieri. A quest'ultimo gruppo appartengono, va da sé, soprattutto le persone anziane.
Vengono in mente molte società diverse dalla nostra, e anche la nostra - ma tanto tempo fa - nelle quali la persona anziana gode o godeva di una considerazione speciale. Essendo più in là con gli anni, l'anziano era innanzitutto colui che trasmetteva il sapere da una generazione all'altra. In secondo luogo, vivendo a contatto con persone più giovani, poteva ammaestrarle: mostrare cioè nella pratica il senso dei propri insegnamenti.
Ma di questo quadro sono pochissimi a conservare memoria, e pochi sono anche soltanto quelli che ne hanno anche solo sentito parlare. Per i più, si tratta al massimo di fiabe.
Anche lo straniero povero veniva accolto come un ospite, godeva di una considerazione particolare, era considerato sacro, mentre oggi, perlomeno da noi, questa stessa gente si rintana in un angolo, cercando di occupare meno spazio possibile, facendosi dimenticare al punto che, il più delle volte, i loro cadaveri vengono trovati accidentalmente.
Viviamo dunque in un mondo pieno di cadaveri, che lungi dal restarsene nei loro recinti giurisdizionali hanno cominciato a popolare gli stessi luoghi di noi vivi: parcheggi, angoli di strade molto battute, appartamenti del centro storico, e così via.
Senza accorgercene, anche noi ci siamo abituati a pensare in questi termini. Il cinema, che è uno specchio abbastanza onesto del nostro mondo, rigurgita di corpi senza vita, talora già ridotti a scheletri, nascosti nelle cantine e nei tramezzi.
Esiste anche un'industria del cadavere: da quella criminale di chi mutila i corpi umani per ricavarne organi da rivendere al mercato nero della medicina, a quella, legale in diversi paesi, che consente l'uso delle cellule staminali per la produzione di tessuti da impiantare in corpi malati, fino a quella - del tutto legittima anche da noi - dell'aborto.
Ma non voglio dilungarmi troppo su tutte queste cose: non ho nessuna tendenza alla necrofilia e provo già un certo disgusto per quello che ho scritto fin qui. Il fatto è che si avvicina il Natale, quando alcuni pastori trovarono, in una grotta, qualcosa di staordinariamente vivo. E non posso non pensare che quello che, viceversa, noi cerchiamo e soprattutto troviamo nella nostra società è il morto, come se l'uomo stesse piano piano abbandonando un mondo che non lo riguarda, e che non è stato pensato per lui.
I discorsi sulle regole e sulla legalità, per quanto giusti, rispetto a questo problema lasciano il tempo che trovano. Riempiteci pure di diritti: questo non c'impedirà di morire come cani, peggio di come morivano i nostri nonni, che avevano meno diritti di noi. Siamo diventati le cavie di qualunque esperimento mediatico, pubblicitario, alimentare, visivo auditivo e olfattivo. I nostri neuroni vengono costantemente ingannati e producono sinapsi a vuoto. Depressione, panico, angoscia sono alcuni nomi di questo imbroglio. Il rapporto Censis ha individuato nella mancanza di desiderio (in cui consiste la depressione) il male del nostro tempo, almeno in Italia. Purtroppo, non si poteva dire meglio.
Così, per quanto ci adoperiamo per la tutela dei diritti di tutti, rimane il fatto che la società in cui viviamo (e che abbiamo costruito noi, per cui c'è poco da lamentarsi) non è edificata sul fondamento della persona umana, intesa come l'uomo concreto, fatto di domande, esigenze e bisogni. Sono pochissimi quelli che ancora scommettono sulla trasmissione del sapere, sulla scuola e sull'università. E la domanda che ha fatto da sottofondo a tutte le grandi civiltà ("che cos'è l'uomo?") non risuona più.
Ma la domanda rimane, e in un modo o nell'altro dovrà pur riemergere.

E' come se una nuova epoca si presentasse all'orizzonte, stranamente simile all'alto Medioevo, quando i reduci decimati delle più grandi civiltà del mondo (quella greco-romana e quella giudeo-cristiana) non potendo affrontare gli spazi di un'Europa ormai capace di produrre solo morti, ricominciarono nei monasteri a tessere le fila di un mondo più giusto, capace di offrire un riparo a chi aveva freddo e a dare valore alla voce di tutti: persino a quella dei pazzi.

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