UN MORTO FIGLIO DI GENOVA

UN MORTO FIGLIO DI GENOVA

Dove eravamo rimasti? Anzi, dove erano rimasti? All’uccisione dell’ultrà genoano Claudio Spagnolo, dicono le statistiche. Al quasi omicidio di Ambretta Piergiovanni, la tifosa sampdoriana colpita da un razzo ad Ascoli, dice la cronaca che va oltre la differenza tra un assassino e un assassino mancato. E se fossero rimasti solo a ieri? All’ultima udienza del maxiprocesso G8 contro i poliziotti? Il delitto di Catania, l’omicidio dell’ispettore Filippo Raciti, è comunque figlio di Genova. Perché Genova e il G8 resteranno comunque nella memoria come il simbolo della polizia assassina, dei carabinieri sceriffi. Perché si è voluto creare questo simbolo. Perché anche la guerriglia che ha devastato la città sarà colpa delle forze dell’ordine, e perché ancor oggi l’unico processo arrivato a sentenza definitiva, quello sull’assoluzione di Mario Placanica che sparò per legittima difesa a Carlo Giuliani, è messo in dubbio, attaccato ad ogni occasione. Perché nessuno chiede che vengano scoperti e puniti i delinquenti che hanno messo a ferro e fuoco le auto, i negozi e le case dei genovesi. È meglio finire con centinaia di poliziotti sotto processo a fronte di una trentina scarsa di manifestanti che chissà se mai verranno chiamati a rispondere dei reati contestati. E se qualcosa rallenta, o va storto, si può gridare al complotto, all’insabbiamento delle prove, al regime che cancella i diritti dei cittadini. La verità su Genova da cercare è una sola: la dimostrazione che i poliziotti che fanno ordine pubblico sono solo nemici da combattere ad ogni occasione.
Cosa c’entra Catania con Genova? Lo spiegano benissimo i graffiti comparsi ieri sui muri di Livorno: «Un altro Filippo Raciti, Ultras liberi» e «2/2/2007: vendetta per Carlo Giuliani». Lo dice Don Vitaliano della Sala, prete no global in piazza a Genova, che la follia di Catania è dovuta, come nel 2001, a «insofferenza e disperazione, che poi si sfoga sulle forze dell'ordine». Ed è solo un caso se gli unici (o quasi) teppisti identificati per gli scontri del G8 erano tutti nell’album della digos, perché già fotografati in precedenza allo stadio con la sciarpa del Genoa o della Samp sulla faccia? Cosa c’entri Catania con Genova lo hanno da tempo spiegato i cori che allo stadio di Genova si sono ascoltati a lungo nell’autunno 2001, alle prime partite casalinghe di Genoa e Samp, che salutavano al grido di «assassini» l’ingresso in campo delle forze dell’ordine. E allora come oggi, nessuno si è mai sognato di squalificare il campo, o solo di multare le società. Perché tutti i giri di vite nel calcio, le sempre più frequenti leggi ferree invocate e approvate, danno decine di migliaia di euro di multa alle società se i loro tifosi insultano l’ex presidente della Federcalcio.

O diffidano il terreno di gioco se accendono dei fumogeni o fischiano un giocatore avversario di colore. Perché allo stadio ci sono solo tre categorie di intoccabili: i vertici federali, gli arbitri e i giocatori di colore. (...)

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