È morto il missionario dello scontro di civiltà

È morto ieri mattina mentre celebrava la messa, pochi giorni dopo aver benedetto la nuova nazione africana del Sud Sudan dove viveva dal 1981. Monsignor Cesare Mazzolari, bresciano di 74 anni, vescovo comboniano di Rumbek, era un missionario di quelli tosti. Un uomo di una fede cristallina, temprata da trent’anni passati tra i musulmani, in una terra martoriata dalla guerra civile che ha ucciso quasi tre milioni di persone. «Dal sangue dei martiri nascerà una nuova cristianità», disse in un’intervista a Stefano Lorenzetto del Giornale. Un vescovo fedele alla verità più che al dialogo. «Impossibile dialogare con i musulmani. Lo scontro tra civiltà? Siamo solo agli inizi».
Mazzolari non era in Sudan per convertire gli islamici, ma per confermare nella fede i cristiani perseguitati, torturati e costretti a fuggire. «Bisogna far uscire l’oppresso dal cerchio vizioso della vendetta, portarlo ad avere il coraggio di perdonare come Cristo», disse due anni fa al Meeting di Rimini. Ha condannato con fermezza la ferocia del governo di Khartoum ma non si è schierato con i guerriglieri cristiani (nel ’94 fu ostaggio dei ribelli di John Garang), né ha esaltato la belligeranza occidentale dopo l’11 settembre. La «sua» gente, disse, vive «un 11 settembre quotidiano. Subiscono ingiustizie e malattie senza astio. Da loro c’è solo da imparare».
Il suo testamento spirituale è contenuto in un libro appena pubblicato in Italia, Un Vangelo per l'Africa (Lindau editore), scritto dal giornalista italiano Lorenzo Fazzini che ha passato lunghi periodi al fianco di Mazzolari. La fede, diceva il vescovo, deve permettere «di andare avanti anche quando non si vede un successo tangibile. La gente di qui vuole vedere se siamo arrendevoli, se gli diamo un soldo tutte le volte che ce lo chiedono. E invece devono imparare che i soldi glieli daremo se hanno fatto il loro lavoro. La cedevolezza qui non è una virtù».
Il senso della sua missione era in queste parole: «Il nostro restare con loro e il tentativo di aiutare significano una cosa precisa: Anche voi siete importanti! Quando vedi che ti manca tutto e al contempo constati che qualcuno si prende cura di te, allora capisci che vali qualcosa. È una vocazione che Dio ci ha dato. Il semplice costruire non rappresenta la promozione umana né costituisce un autentico sviluppo: quello che crea il cambiamento è il sacrificio della persona. La Chiesa qui rimane e permane, anche sotto i bombardamenti, e sfida tutto».
Questa passione per ogni uomo non impediva però a Mazzolari un giudizio netto sull’islam. «È difficile trattare con quel popolo. Pur non conoscendoli, in Italia siamo arrivati a offrire le chiese perché diventino moschee. Non abbiamo capito che essi sono possessivi e invadenti, non hanno rispetto per chi non è dei loro. Abbiamo praticato un’accoglienza cieca e non informata. Questi elementi che oggi non sappiamo trattare, in futuro prenderanno il comando di molte cose. Stiamo perdendo rispetto della nostra stessa cultura italiana, che ha profonde radici cristiane: abbiamo abdicato alla nostra tradizione per essere buonisti. Siamo stati troppo permissivi e adesso ce ne stiamo pentendo».
Mazzolari è stato un uomo infaticabile.

Ha costruito scuole e ospedali, liberato bimbi-soldato, mediato tra combattenti, ridato dignità a milioni di persone. Era convinto che sarebbe morto di morte violenta. Invece un ictus se l’è portato via improvvisamente: come Mosè, sulla soglia della terra promessa.

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