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Morto Suharto, il dittatore-macellaio

«Il padre dello sviluppo», come amava farsi chiamare nella sua Indonesia, con le mani sporche di sangue e conti in Svizzera miliardari, si è spento ieri dopo una lunga agonia. L’ex dittatore Bapak Muhammad Suharto, classe 1921, ha segnato un’epoca governando con il pugno di ferro l’arcipelago asiatico per 32 anni. Un personaggio controverso, che in nome dell’anticomunismo ha fatto fuori mezzo milione di persone, ma allo stesso tempo è riuscito a traghettare l’Indonesia dal medioevo economico al benessere.
Dieci anni dopo essere stato costretto ad abbandonare il potere da una rivolta popolare costata mille morti, il generale che divenne presidente è deceduto per il collasso degli organi principali. In ospedale era arrivato il 4 gennaio, ma la malattia lo dilaniava da tempo. Ieri, quando si è sparsa la notizia, centinaia di persone sono accorse all’ospedale a tal punto che l’ambulanza con il corpo del dittatore faceva fatica ad avanzare fra la folla. La figlia più grande, Siti Hariyanti Rukmana, si è appellata ai suoi connazionali: «Se mio padre ha commesso degli errori, per favore perdonatelo». Non sarà facile, ma Suharto ha sempre provocato sentimenti fortemente contrapposti, di odio e amore. Nato 86 anni fa in un villaggio dell’isola di Java veniva da una famiglia povera e numerosa. Ben presto abbandonò gli studi per arruolarsi in una milizia filo giapponese durante la seconda guerra mondiale. Con l’indipendenza Suharto fece carriera nelle forze armate. La svolta avvenne nel 1965 quando un oscuro complotto, probabilmente aizzato da Pechino, decapitò i vertici militari indonesiani. Il generale Suharto si salvò e colse la palla al balzo per denunciare un vero o presunto colpo di stato comunista. La caccia ai «rossi» durò anni e costò la vita a 500mila persone sospettate di simpatie comuniste. Pochi mesi dopo il fallito golpe il presidente Sukarno, vecchio e malato, cedette il potere al generale.
L’arcipelago lo ricorderà come il presidente che ha portato stabilità e sviluppo garantendo una crescita annua del 6-7% e trasformando una fragile nazione composta da 17.500 isole in una delle Tigri economiche dell’Asia. Sul piano politico, grazie ai suoi servizi segreti ed al tacito appoggio degli Usa, rimase sempre un dittatore, anche se con gli anni portò, volontariamente o meno, il paese verso la democrazia. Nel 1975 ordinò l’invasione di Timor est, dopo la fine del dominio portoghese. La lunga occupazione provocò 200mila morti, con esecuzioni di massa, e si concluse con l’indipendenza del 1999 sfociata nell’ultimo bagno di sangue. Un anno prima Suharto era stato travolto da oceaniche manifestazioni di piazza che paralizzarono la capitale. La crisi economica aveva provocato la disperata reazione degli studenti e della classe media. Anche gli islamici cominciavano a gettare benzina sul fuoco.
Il vero mistero che si porterà nella tomba riguarda la sua fortuna. In realtà Suharto viveva modestamente, ma la famiglia si è arricchita in maniera spropositata. Il settimanale Time aveva denunciato che i Suharto si sono accaparrati 15 miliardi di dollari, 9 dei quali depositati in Svizzera ed in Austria. Le accuse non furono mai provate, anche se le autorità indonesiane hanno aperto una controversa inchiesta poi insabbiata a causa della malattia dell’ex dittatore. L’agenzia delle Nazioni Unite per la lotta al crimine organizzato accusò il clan Suharto di aver addirittura defraudato, ogni anno, l’1,3% del prodotto lordo interno lordo dell’Indonesia.
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