Mosè come Osama, altri insulti alla fede

Ribaltata l’opera di Rossini: gli ebrei diventano kamikaze e il profeta va in scena con il mitra. Il regista: denuncio i fondamentalismi. Ma per molti è antisemita

Mosè come Osama,  
altri insulti alla fede

È sempre grande il desiderio di un regista d’interpretare l’opera che mette in scena in una forma moderna, soprattutto se essa è stata scritta molti anni fa. In questa sua attualizzazione, il regista pensa di mostrare il proprio talento anche a scapito della fedeltà al testo. Anzi, la tendenza generale è proprio quella di infischiarsene della filologia testuale e dell’aderenza all’opera così come è stata scritta dal suo autore. In un gioco delle parti, il regista si sente egli stesso autore lasciando in secondo piano il vero ideatore dell’opera di cui lui, regista, non intende minimamente seguire la traccia. La conseguenza di questa sovrapposizione del regista sul vero autore del testo sta producendo, da un po’ di anni, un risultato culturalmente nefasto.
Che banalità rappresentare l’Amleto seguendo il testo di Shakespeare! Attualizziamolo. Modifichiamolo così da farlo fruire agli spettatori nel contesto dei nostri problemi quotidiani: magari insinuando in Amleto un dubbioso Tremonti che non sa dove trovare i soldi per raggiungere l’equilibrio di bilancio. E poi, se è possibile, mettiamoci un po’ di trasgressività, banalizzando il dubbio, volgarizzando il protagonista. E tra gli spettatori, probabilmente, c’è anche chi si diverte. Il risultato culturalmente nefasto è che, se le persone anziane sono riuscite nella loro giovinezza a guardare un Amleto così come lo aveva scritto Shakespeare, oggi un ragazzo si trova a vedere interpretazioni di registi genialoidi incuranti del testo. Pasticci.
Qualche volta accade però che il pubblico proprio non ce la faccia a reggere le manipolazioni del regista genialoide di turno, e si arrabbia mandandolo a quel paese con fischi e urla (tanto da fare intervenire la polizia). Proprio come è successo al festival di Pesaro in occasione della rappresentazione del Mosè in Egitto. La trovata (perché evidentemente il regista considerava troppo banale Mosè di Rossini e poco moderno di fronte ai nostri problemi) è stata quella di trasformare il profeta in un novello Bin Laden. L’attore - Mosè - era truccato proprio come lo sceicco del terrore con tanto di kalashnikov e di kamikaze come contorno.
Se già le attualizzazioni di testi sono rischiose per l’inevitabile arbitrarietà interpretativa a cui essi vengono sottoposti, se culturalmente queste riletture dell’opera in chiave moderna sono un’operazione discutibilissima, proprio perché il valore estetico dell’opera sta nella sua intrinseca attualità, che un regista dovrebbe attenersi a rappresentare con grande umiltà, immaginiamoci che porcheria possa saltar fuori quando la modernizzazione del testo prende fischi per fiaschi.
Cosa c’entra Bin Laden con Mosè? Il solerte regista genialoide si affretta a dire che lui è contro ogni fondamentalismo, che non voleva offendere nessuna religione e che intendeva dimostrare che è possibile, attraverso l’arte del passato, riflettere sui drammi contemporanei. Ma casualmente le scene più cruente mostrano gli ebrei come terroristi, e c’è chi lo accusa di antisemitismo.
Con un colpo solo il regista è riuscito ad offendere due religioni, quella ebraica e quella islamica, senza ovviamente denunciare nessun fondamentalismo. L’intuizione poteva essere buona, il risultato è stato un misto tra il grottesco, il volgare, l’offensivo. È chiaro che coloro che si mettono a manipolare le opere degli altri con la scusa di renderle più fruibili, hanno bisogno di un bagaglio culturale che oltrepassa la competenza del rigoroso lavoro del regista. Nel Mosè, poi, la conoscenza della teologia sarebbe stata un fondamento essenziale per ogni presunzione attualizzante.
Il regista del Mosè ha tutti i diritti di modernizzare tutte le opere di questo mondo. Ha anche il diritto di essere ignorante. I veri responsabili sono coloro che gli danno credito e coloro che poi lo invitano a un festival di prestigiosa tradizione come quello di Pesaro.

Il teatro costa caro, l’opera musicale ancora di più: in questo clima di restrizioni, risparmi e tagli non sarebbe fuori luogo chiedere quel po’ di umiltà ai registi geni per farci assistere a rappresentazioni semplici, a interpretazioni senza vertiginose metafore e furbesche insinuazioni: insomma a qualcosa che non faccia buttare un sacco soldi dalla finestra per avere poi risultati penosi. Una buona rappresentazione, una bella recita: ci accontentiamo. Questo sì sarebbe davvero attuale.

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